Salvano nel sottotetto una famiglia ebrea Nascosti in quattro nel centro di Anghiari

Giocondo e Annina Marconi per questo sono riconosciuti da Israele "Giusti delle Nazioni": a Gerusalemme c’è un albero dedicato a loro

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Alberto

Pierini

Favorisca i documenti. In genere la frase non è promettente, spesso è l’anticamera di qualche guaio, quasi mai l’inizio di una bella amicizia. Ma per Yosef e la sua famiglia fu la prima luce della salvezza. La salvezza dallo sterminio in un campo di concentramento, la salvezza dalla caccia all’uomo scatenata nel buio della storia contro gli ebrei.

Perché Yosef, i suoi genitori, la sua sorellina erano ebrei, ebrei in fuga. Ritrovatisi chissà come nel centro di Anghiari, in quella piazza dove Garibaldi in cima alla statua non sai ancora se davvero indichi Roma o no. E a chiedergli i documenti è l’uomo del destino: si chiamava Giocondo Marconi, oggi il suo nome insieme a quello della moglie Annina è nell’elenco dei "Giusti tra le Nazioni" del Yad Vashem, il custode massimo della memoria della Shoah. Sono registrati con il numero 12646. E come tutti gli altri c’è un alberello con il loro nome nel Giardino dei Giusti di Gerusalemme.

Merito? Assoluto. Aver salvato Yosef e la sua famiglia. Perché da quella richiesta di documenti, Giocondo era un militante comunista in contatto con la Resistenza, nasce la grande occasione. Li accolgono e li accompagnano tutti nella loro casa, al numero 15 di piazza del Popolo, ad Anghiari, con vista sulla statua di Garibaldi.

Li nascondono nel punto più alto, nel sottotetto, una delle tante soffitte che punteggiano la speranza di quegli anni. Quasi sempre apertesi con violenza davanti a chi ti trascinava via e ti portava a morte. Ma a volte no.

Non per Yosef e per i suoi. I Sagi, in realtà il cognome originale era Schumann, usciranno sani e salvi dalla bufera della storia.

Giocondo non si limita a girare nella toppa la chiave della soffitta e a regalargli quel rifugio piccolissimo ma prezioso: trova loro anche dei documenti falsi. I Sagi diventano famiglia Scapelli. Yosef molto più semplicemente Giuseppe, la sorellina Adina si trasforma in Lucia. Non sapremo mai se nella soffitta si chiamassero con il loro vero nome o, per non sbagliarsi, con quello fittizio. Sappiamo che si salvarono non una ma tante volte.

Erano ebrei tedeschi di origine polacca: davanti ai pogrom nazisti, ai primi segnali di quello che poi sarebbe diventato uno sterminio di massa, cominciano la loro fuga. Via da Amburgo, la città dove vivevano, e via dall’Europa centrale. La prima tappa è quella di scappare a Trieste.

In Italia, oltre i confini che li stringevano come una morsa. La salvezza definitiva? Macchè, perché pochi mesi dopo l’Italia entra in guerra a fianco di Hitler. E la repressione degli ebrei supera quel confine che si erano appena lasciati alle spalle.

Il capofamiglia ha la tentazione, e qualcosa di più, di rompere gli indugi, lasciarsi completamente alle spalle il passato e l’intera Europa e di cercare fortuna e salvezza dall’altra parte del mondo. Dà la caccia ad un posto, anzi quattro, sulla nave per Shangai. Ma quel posto non c’era, la nave parte senza di loro.

La disperazione vira in sollievo, come in quella piazza del Popolo dove gli avrebbero più avanti richiesto i documenti. Quella nave partita senza di loro va ad imbattersi su una mina e affonda con tutti i suoi passeggeri. Intanto i Sagi, non ancora diventati Scapelli, fuggono inseguiti, come nei peggiori sogni notturni di ciascuno di noi. Provano ad imbarcarsi a Genova, non ce la fanno neanche stavolta, poi arrivano a Nervi, scendono giù per lo stivale e vengono chiusi nel campo di concentramento di Eboli.

Siamo già all’8 settembre: la fuga riprende e stavolta eccoli ad Anghiari. Eccoli a quella richiesta di documenti, che apre loro la porta di quella soffitta. Dalla quale riescono perfino a tentare una vita normale. Forti dei loro documenti "nuovi" mandano a scuola Yosef e Adina, anzi Giuseppe e Lucia. Vanno dalle suore, non si è mai capito fino in fondo se quelle dell’Aliotti, quindi ad Arezzo, o le Agostiniane nel centro storico di Anghiari. Un’Anghiari che a quel punto aveva aperto gli occhi.

I più sapevano bene che gli Scapelli non erano Scapelli ma persone in fuga. E nessuno, rompendo il muro dell’indifferenza tanto odiato dai superstiti dei lager, li denuncia. Anzi c’è qualcuno che li aiuta: Yosef, tornato anni fa ad Anghiari con la sorella al momento dell’annuncio del riconoscimento ai loro salvatori, parla ad esempio di Vera Paci e del nipote Luca.

Giocondo e Annina a quel punto non c’erano più, morti all’inizio degli anni ’60, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altra. Ma il loro gesto sì: e ad accogliere i Sagi c’erano li i nipoti, giustamente orgogliosi di legare il loro nome a due eroi, semplici ma eroi. La lettera partita da Israele era arrivata proprio alla nipote, rimasta legatissima al ricordo di quegli zii.

E in quella occasione la famiglia Sagi, arrivata da Israele in forze nel paese anche con alcuni amici, ha dedicato alla memoria di Giocondo e Annina una canzone della tradizione israeliana. Un ponte, di note e di emozioni, da Gerusalemme ad Anghiari, dall’archivio ebraico della memoria a piazza del Popolo.

La piazza che si sarebbero lasciati alle spalle all’arrivo dei tedeschi: e anche in quella occasione, l’ennesima salvezza, erano stati altri anghiaresi ad aiutarli a trasferirsi a Verrazzano, vicino a Massa Carrara, per essere accolti nella canonica del parroco. Un percorso infinito, al termine del quale riuscirono a tornare nella loro terra.

Ma Yosef non li avrebbe mai dimenticati. Fu una sua lettera ad innescare la macchina del riconoscimento. A riaprire dopo tanti anni lo spiraglio di quella soffitta nella quale erano stati accolti e insieme protetti dalla bufera del mondo. L’ultimo grazie, l’ultima carezza ad una coppia di persone semplici ma che nel momento più difficile avevano detto sì. Dimostrando non solo di essere giusti, come la pergamena conferma: ma uomini veri, mestiere parecchio più difficile.