Ripartenza, anche la produzione industriale in picchiata

A marzo perso il 36 per cento rispetto a febbraio: è il dato più pesante della Toscana, paragonabile solo a Prato. Primo trimestre da brivido e aprile peggio

Industrie in sofferenza

Industrie in sofferenza

Arezzo, 1 giugno 2020 - La recessione che sta massacrando la manifattura aretina, il crollo del Pil al 13 per cento previsto dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco, si vedono anche da lì. Dalla caduta esponenziale della produzione industriale che si è registrato a marzo, la peggiore della Toscana nel raffronto con il mese precedente, la seconda della regione in quello con un anno fa.

Solo Prato è sugli stessi livelli e non è un caso: parliamo delle due province cardine dell’industria toscana, la capitale del tessile (Prato) e la capitale dell’oro (Arezzo). Due realtà produttive talmente forti (anche se Siena e Firenze vanno meglio nel campo dei servizi e del turismo) che nemmeno il capoluogo di regione tiene il passo. Infatti. A marzo la produzione uscita dalle fabbriche aretine è diminuita di oltre un terzo, il 36 per cento, a voler essere precisi, rispetto a febbraio.

Se il termine di paragone è invece il 2019, siamo al meno 38 per cento, superato appunto da Prato con il meno 42. Se volete è un dato persino banale: con il sistema industriale fermo, era inevitabile che la produzione crollasse. Anzi, i numeri sono persino destinati a peggiorare quando saranno noti quelli di aprile.

Il conto è facile: in marzo il lockdown produttivo è cominciato il 23 marzo, anche se le imprese erano già in rallentamento da almeno una settimana. Il mese successivo è stato occupato per intero dallo stop che è andato avanti fino al 4 maggio.

Quindi siamo a dieci giorni di marzo contro l’intero aprile, il che porta a ritenere che lo shock produttivo sarà enormemente superiore al pur eclatante 38 per cento. Gli effetti li vediamo adesso, col Pil impazzito verso il basso. Anche il raffronto tra trimestri, messo insieme ancora dall’Irpet, l’istituto regionale di ricerche economiche, è a suo modo istruttivo: la produzione industriale da gennaio a marzo ha avuto un picco negativo del meno 11,5 per cento rispetto agli ultimi tre mesi del 2019 e del 13 per cento nel confronto col corrispondente trimestre dell’anno precedente.

Tradotto dai numeri, vuol dire che il crollo è quasi tutto concentrato in marzo (-36 per cento appunto), mentre i primi due mesi avevano sostanzialmente retto, sia pure anche qui con una frenata che era già percettibile, altrimenti non si spiegherebbe come la caduta rispetto al marzo 2019 sia superiore di quella fra primo trimestre 2020/ultimo 2019.

Il lockdown, insomma, è andato a far sentire il suo terremoto in una fase che era già di stagnazione se non di crisi e ha colpito due settori, come l’oro e la moda, che avevano registrato un 2019 da record, con un export finale (9 miliardi e rotti) anch’esso da primato. La metafora del giro di chiave che spegne il motore non è tuttavia del tutto esatta, perchè 21 mila aziende su 45 mila iscritte alla Camera di commercio hanno continuato a lavorare.

Come a dire che la macchina della manifattura aretina non si è fermata del tutto ma è piuttosto finita in folle. Quel tanto che bastava a evitare lo stop totale (hanno continuato a produrre agroalimentare, parte della metalmeccanica e filiere collegate) ma non lo shock di cui adesso risentiamo le prime conseguenze. Col Sole 24 Ore che inserisce moda e metallurgia (qui vuol dire oro) aretine fra le più a rischio per l’export. Saranno ancora mesi di passione.