
AREZZO
Non bastava il blitz in grande stile con durato un paio di giorni alla Chimet di Badia al Pino, il procuratore che coordina la Direzione distrettuale antimafia di Firenze Luca Tescaroli ha anche risposto con un articolato comunicato stampa alla nota diramata dalla Chimet l’altro ieri in cui difendeva la correttezza dei propri comportamenti. Tescaroli elenca le accuse che hanno portato all’iscrizione nel registro degli indagati di quattro persone, tra cui Maria Cristina Squarcialupi e Luca Benvenuti: "Le indagini hanno permesso di ipotizzare un illecito traffico di ingenti quantitativi di rifiuti speciali pericolosi" si legge nella nota della Dda fiorentina. Sarebbero 84 mila tonnellate di rifiuti avviati al recupero e 12 mila tonnellate avviati allo smaltimento tra il 2012 e il maggio 2023.
Secondo l’accusa Chimet avrebbe declassificato "i rifiuti speciali pericolosi (contenenti sostanze altamente contaminanti), in rifiuti non pericolosi avviati, fino al novembre 2021, al recupero, presso impianti compiacenti e con la predisposizione di documentazione ad hoc, i quali li recuperavano fittiziamente, non essendo autorizzati alla ricezione dei rifiuti pericolosi, facendone perdere lo status di rifiuto e la conseguente tracciabilità, mediante la produzione di aggregati riciclati non legati, commercializzati come materie prime secondarie ad aziende, allo stato terze non indagate, attive nel settore dell’edilizia. Il tutto con il conseguimento di un ingiusto profitto, al momento quantificabile in almeno 21 milioni di euro, per il solo produttore".
Il codice di trattamento non corretto avrebbe portato guadagni, ipotizzati in circa 5,7 milioni di euro, anche per la filiera successiva, che grazie a tale escamotage, si è garantita la ricezione di quei rifiuti, che avrebbero dovuto essere avviati a impianti autorizzati.
"Solo nelle ultime settimane, in seguito all’interlocuzione con l’ente pubblico, deputato al rilascio delle autorizzazioni ambientali, l’impianto ha modificato il codice del rifiuto attribuendogli una classifica pericolosa, sebbene il ciclo produttivo fosse rimasto invariato" aggiunge il procuratore Tescaroli
Il blitz alla Chimet si inserisce nei controlli in otto aziende dedite alla gestione a vario titolo dei rifiuti tra Firenze, Arezzo, Roma, Viterbo, Pisa e Brescia. L’inchiesta è partita da quella più ampia sul Keu che vedeva coinvolta anche la famiglia Lerose che gestiva un impianto di smaltimento in Valdarno.
La Chimet, contattata da La Nazione, ha preferito non replicare ulteriormente agli inquirenti.
Federico D’Ascoli