Il Valdarno superiore, o aretino, ha il non comune orgoglio di potersi fregiare di una luminosa descrizione di Goethe che vi passava, andando verso Roma, nell’ottobre del1786.
L’occhio esperto del grande scrittore tedesco notava innanzi tutto il carattere alluvionale delle terrae novae notoriamente ricche di testimonianze paleontologiche, oggi raccolte nell’omonimo Museo di Montevarchi. Infatti esordisce dicendo che da queste parti "i mari antichi hanno fatto il loro dovere e hanno accumulato uno spesso sedimento argilloso di color giallo chiaro, facile da lavorarsi". Dopo essersi soffermato sulle varie coltivazioni, prosegue: "Il grano cresce alto sulle porche e i contadini vanno su e giù per i solchi a sarchiare. Ho osservato questo metodo presso Arezzo, dove si dischiude una piana meravigliosa. Impossibile vedere una campagna meglio ordinata: neppure una zolla fuori posto, tutto lindo come fosse passato al setaccio. Il grano cresce molto bene e sembra
trovare tutte le condizioni favorevoli alla sua natura".
Non sorprende questa bella testimonianza goethiana, dal momento che la valle superiore dell’Arno è stata a lungo una terra nella quale è transitata, per i più svariati motivi, l’Europa colta, mercantile e guerriera. In particolare ne hanno lasciate testimonianze preziose i viaggiatori del Grand Tour diretti come Goethe a Roma, preferendola spesso alla strada che passa per Siena. Ce lo conferma un altro illustre scrittore in viaggio in Italia, Stendhal, il quale giudicava la via del Valdarno e di Arezzo "assai più curiosa" di quanto fosse la via Francigena, anche perchè, a suo dire, lungo il suo percorso si vedono luoghi dove si direbbe che nulla è mutato dal tempo di Dante.
La sistemazione della Strada Postale Aretina percorsa dai nostri viaggiatori impegna per un trentennio, a partire dal 1762, il governo granducale, perchè comporta sostanziali modifiche al vecchio tracciato per consentire un più agevole transito di carriaggi e carrozze. Seguirne i lavori è come percorrere la valle dell’Arno insieme a Stendhal e ai tantissimi altri viandanti.
Dopo Firenze, il primo intervento massiccio comportava lo spostamento del tracciato viario nel fondovalle al fine di aggirare il valico di San Donato. Interventi di minore impatto ambientale si sarebbero susseguiti fino al podere di Malafrasca, poco dopo Levane.
L’ultimo tratto fino alle porte di Arezzo si dimostrava tuttavia problematico, comportava la scelta fra una duplice ipotesi. La prima era migliorare il vecchio tracciato che passava per Ponte del Romito, Monsoglio, Ponte Buriano e Quarrata, vale a dire la via dei Sette Ponti.
La seconda implicava l’apertura di una nuova tratta viaria che da Malafrasca toccasse Ponticino, Pieve a Maiano, Indicatore, San Leo e quindi Arezzo. Ed è su questa seconda ipotesi che cadde la scelta ed è la strada che percorriamo oggi in alternativa all’autostrada.
Su questo tratto di fondovalle si sofferma l’Itinerario italiano, la più diffusa guida turistica di primo Ottocento, ponendo in risalto, alla maniera di Goethe, la fertilità e la solerte coltura delle campagne. Con intonazione più leggendaria che storica informa poi che da queste parti si trovano ossa di elefanti fossili e, ammiccando a quei resti favolosi, aggiunge: "Forse vi si arrestò per qualche tempo l’esercito di Annibale prima di portarsi a battere l’armata romana del console Flaminio sul Trasimeno". L’autore della guida sapeva che gli aretini vedevano nelle colonne tronche, poste ai lati della porta a mezzogiorno della cattedrale, le zanne degli elefanti del cartaginese.
La guida dice inoltre che Figline è una bella terra, popolata e cinta di mura e che a distanza di cinque miglia si trovano San Giovanni, altra terra del Valdarno, e quindi Montevarchi "terra più grossa, ricca e molto popolata dove fioriscono l’industria e il commercio". Questa ultima annotazione coglie e presagisce in largo anticipo la vocazione imprenditoriale del Valdarno superiore che manifesta una straordinaria, vivace creatività nei settori più diversi e innovativi.
Le voci dei viaggiatori non devono farci dimenticare comunque le attrattive della componente collinare e montana valdarnese dove, oltre le memorie pittoriche di Masaccio e del Beato Angelico, s’annidano preziose pievi romaniche. Basti soffermarsi su San Pietro a Gropina i cui capitelli sono decorati in maniera plastica da animali esotici e fantasiosi, veri e propri simboli parlanti.
Altre pievi come quella restaurata di San Salvatore a Soffena, o quella di Santa Maria a Pian di Scò invitano a compiere un suggestivo percorso nel Medioevo fantastico. quale ci è stato proposto da Baltrusaitis. Ci sono inoltre vie ai confini della valle che portano a luoghi dove la storia si è condensata in portentosi, appartati manufatti, come a Sud la torre di Galatrona e il borgo di Cennina raggiungibili da Bucine; o a Nord l’Abbazia di Vallombrosa, accessibile da Reggello, che suggerì a Milton immagini suggestive del Paradiso perduto.