Pietro Benvenuti, il pittore figlio di calzolaio che fu tra i preferiti di Napoleone e granduchi

Studiò grazie alla Fraternita, grande amico di Canova. Fu uno dei maggiori artisti neoclassici, ora torna in auge con la mostra a Casa Bruschi

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L’ultimo a destra nella Grande Galleria degli Uomini Illustri nel Palazzo della Provincia di Arezzo, dipinta dal De Carolis, è Pietro Benvenuti che, elegantemente abbigliato e sicuro di sé, chiude la “parata” in procinto di uscire dall’ingresso laterale, opposto a quello di sinistra, da cui invece fa la sua entrata Gaio Cilnio Mecenate. Benvenuti ha svolto un ruolo determinante nel panorama figurativo toscano, e non solo, del XIX secolo reggendo in qualità di direttore dell’Accademia di Belle Arti di Firenze le sorti della cultura artistica dei primi quattro decenni dell’Ottocento. La sua lunga e fervida carriera ha raggiunto apici di dimensione europea.Di lui adesso si torna a parlare per la mostra che è stata appena dedicata a questo maestro del neclassicismo a Casa Bruschi, un omaggio anche al contemporaneo Antonio Canova, il più grande e famoso dei neclassici.

E’ stato giudicato “valoroso pittore” dai contemporanei e le sue opere hanno dato vita ad un sentimento di orgoglio nazionale. Sebbene nei primi anni Trenta dell’Ottocento Benvenuti, aretino di nascita, fosse diventato uno dei protagonisti del suo tempo, nonché figura cruciale nel momento in cui i canoni del Bello ideale cedevano il primato ad istanze puriste e romantiche, dopo la sua morte è stato invece condannato ad un ingiusto e ingiustificato oblio da parte dei romantici e dei loro successori. La sua patria però non lo ha mai dimenticato. Benvenuti morì a Firenze il 3 febbraio del 1844 e nel 1846 fu posto in San Lorenzo. In patria fu ricordato anche dopo e per molti anni, come testimonia il carme scritto in suo onore dal pittore Gualtiero de’ Bacci Venuti definendolo “non ultima gloria aretina”, oltre alla fortuna ancora riscossa in occasione delle Esposizioni di Belle Arti e di Manifatture che l’Accademia Petrarca organizzava a partire dal 1835. Una sorta di propaganda privata fu portata avanti anche dal figlio Tito, donando molti disegni del padre, tenendo vivo il suo ricordo presso collezionisti importanti come il senatore Leonardo Romanelli o lo scultore Lorenzo Bartolini.

Strepitosa la donazione di un gruppo di cartoni e disegni preparatori (oggi ancora in città in attesa di restauro) per la grande impresa della Cappella dei Principi in San Lorenzo a Firenze, voluta da Leopoldo II e aperta al pubblico nel 1836. Nella revisione critica delle arti in Europa tra Settecento e Ottocento la figura di Benvenuti è stata oggetto di una meticolosa ricostruzione a partire dalla mostra che Arezzo gli ha dedicato nel 1969 in occasione del secondo centenario della nascita.

Lo studio e l’interesse per l’artista aretino, nato l’8 gennaio del 1769 nella popolare via Tra le Torri da Bartolomeo, calzolaio di umili origini, è stato coltivato nei decenni successivi da molti studiosi, sia italiani, che stranieri, per arrivare alla stesura della prima monografia nel 2004 e all’imponente mostra a lui dedicata in Palazzo Pitti nel 2009 dal titolo Pittore Imperiale. Pietro Benvenuti alla corte di Napoleone e dei Lorena. Dopo più di cinquanta anni, Arezzo torna a celebrare il proprio illustre concittadino con una mostra dal titolo Benvenuti nell’età di Canova, promossa dalla Fondazione Ivan Bruschi. Inserita nel progetto “Terre degli Uffizi”, ideato e realizzato dalle Gallerie degli Uffizi e dalla Fondazione CR Firenzei, essa è stata inaugurata gioved’ scorso 16 giugno.

Fondamentale per Benvenuti è stata l’amicizia con Antonio Canova e il suo appoggio fu determinante nella sua nomina a direttore dell’Accademia fiorentina avvenuta con motuproprio della Regina d’Etruria il 31 ottobre del 1803. La stima che Canova, del quale hanno luogo quest’anno le celebrazioni dei duecento anni dalla morte, nutriva per il pittore aretino è testimoniata dalla risposta che egli dette a Napoleone nel castello di Fontainebleau nel 1810, indicando il Nostro tra gli uomini valentissimi che operavano in Italia. Intenso è il loro scambio epistolare. Per Pietro fondamentali sono stati molti altri amici, dallo scultore danese Bertel Thorvaldsen, a letterati, ministri, direttori di musei, aristocratiche famiglie, come quella dei Corsini e degli Albergotti. Giudicato dalle fonti un enfant prodige, egli studiò prima a Firenze, poi a Roma grazie al sussidio della Fraternita dei Laici. Il momento di massima gloria per il “David di Firenze” così come era chiamato dai suoi sostenitori, ha coinciso con l’era napoleonica, sebbene gli studi recenti, grazie al ritrovamento di disegni, di dipinti e di documenti di inaspettata importanza, abbiano documentato anche la fase trobadour, la sua vicinanza ad accenti nazareni, conosciuti a Roma nell’ambito germanico di Villa Malta, e la sua attenzione nei confronti della pittura storico-civile di Francesco Hayez e di Giuseppe Bezzuoli.

In Arezzo la svolta verso il gusto neoclassico si ebbe con i lavori della Cappella della Madonna del Conforto, che divenne il polo attrattivo della cultura ottocentesca europea, facendo confluire in loco i massimi pittori del momento. A Pietro, -che si trovava a Roma, dove era giunto il 3 marzo del 1792 - fu affidata dal vescovo Marcacci l’esecuzione della Giuditta e Oloferne, opera monumentale che ha segnato il suo grande trionfo. La grande tela, che giunse ad Arezzo nel 1804, dopo essere stata esposta con successo al Pantheon, è la seconda versione, iniziata a Roma nel 1802. La prima, oggi a Capodimonte, firmata e datata 1798, fu venduta dal Nostr a Lord Bristol, suscitando le ire di Agostino Albergotti, in procinto di diventare vescovo di Arezzo. Come promesso, la seconda Giuditta è un capolavoro, apprezzato da Canova che giunse ad Arezzo nel 1805 per ammirarla. Tra i numerosi incarichi, tra quadri d’altare, quadri di storia e numerosi ritratti, capolavori dell’era napoleonica sono il Giuramento dei Sassoni (Firenze Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti), eseguito per Napoleone, e la tela con Elisa Baciocchi e la corte, ora a Versailles.

Numerosi furono i viaggi a Parigi di Pietro. Non meno prolifici furono gli anni successivi al ritorno dei Lorena. Oltre alla volta della Cappella dei Principi, impresa che ebbe un successo contrastato, per quanto celebrata dal Granduca, grande impresa fu la decorazione della Sala d’Ercole in Palazzo Pitti, senza dimenticare i molti ritratti di grandi personaggi del suo tempo.