Perugia, è più di un derby: torna 10 anni dopo

Alle origini di una rivalità storica, diventata implacabile dopo la domenica del 1975 che all’Arezzo costò la retrocessione dalla B

di Salvatore Mannino

Se guardate su Wikipedia alla voce derby Arezzo–Perugia, troverete che, secondo l’anonimo estensore, prima del "fattaccio" del 1975 di cui andremo poi a raccontare, la rivalità fra il Cavallino e il Grifone non era neanche quella di un derby. Mica vero. Per la tifoseria amaranto di derby per eccellenza ce ne sono sempre stati due, quello col Siena e quello col Perugia, che poi diventavano i più sentiti a seconda della categoria frequentata dall’Arezzo: più spesso in C col Siena, più spesso in serie B col Perugia.

Basti ripensare ai derby dei primi anni ’70, anteriori dunque alla domenica in cui la storica rivalità di campanile fra le due città e fra i rispettivi aficionados divenne qualcosa di più e di peggio. Gli amaranto erano tornati in B nel 1969, i granata (il colore è sostanzialmente lo stesso, ma assume diverse tonalità emotive) quel campionato lo frequentavano abitualmente dai primi anni ’60. E in quel primo scorcio dei ’70, i simboli dell’antagonismo fra due capoluoghi vicini e confinanti, sia pure appartenendo a regioni diverse, erano i rispettivi centravanti, fra i migliori della cadetteria: Giovanni Urban, dalla parte dei grifoni, e Mauro Benvenuto (capocannoniere del 1971) da quella dell’Arezzo.

Tutto questo però è il prologo, perchè la rivalità esplode, fino a diventare "odio" sportivo fra il 1974 e il 1975. Proviamo a riassumere. Al termine della stagione 1974-75 il Perugia si gioca la salvezza a Parma, all’ultima giornata. Spuntano fuori 20 milioni che secondo l’accusa della giustizia sportiva sarebbero il prezzo della partita "comprata" dagli umbri. Il rischio è quello della retrocessione a tavolino, ma ecco che arriva il Cavaliere Bianco, ovvero il presidente amaranto Gigi Montaini (uno dei grandi della storia dell’Arezzo) che scagiona il collega umbro Franco D’Attoma: era a pranzo con me al ristorante.

Il Perugia e D’Attoma si salvano, l’anno dopo però il copione si rovescia: i grifoni, allenati da Castagner, volano verso la A, il Cavallino si dibatte per tutta la stagione nelle sabbie mobili della retrocessione. Si arriva dunque al derby di ritorno, a Perugia, ultima partita nel vecchio stadio Santa Giuliana, l’11 maggio 1975. Gli umbri sono praticamente già promossi, gli aretini alla disperazione: hanno bisogno dei due punti (quanto valeva allora la vittoria) per salvarsi. Passano due volte in vantaggio ma per due volte vengono ripresi e infine sconfitti 3-2, con conseguente retrocessione. I tifosi amaranto e tutta la città ribollono di indignazione: si aspettavano la restituzione dal Perugia del favore dell’anno prima, quella partita diventa un "tradimento", i grifoni l’oggetto di uno spirito di vendetta che 45 anni dopo ancora non si è placato.

Da allora tutti i derby (non tantissimi) in cui si incrociano amaranto e granata (che a lungo veleggerà nella massima serie cui il Cavallino non è mai arrivato) diventano occasione eterna di rivalsa su quel presunto torto.

L’animosità si placherà un po’ soltanto quando nel 1995 Ciccio Graziani individuerà come allenatore dell’Arezzo precipitato in D un certo Serse Cosmi, perugino di Ponte San Giovanni, che riporterà la squadra prima in C2, poi in C1 e alla finale dei play-off del 2000 contro l’Ancona, ultima sua partita in amaranto, perchè il presidente Gaucci l’ha già voluto sulla panchina del Perugia in A. Da allora perugino qui non è più sinonimo delle offese più scurrili. Ma quello coi grifoni, che manca da dieci anni, è ancora più che un derby.