Ospizio, caccia al secondo livello: i 7 hanno fatto da soli o c'è chi non ha controllato?

Indagini ancora a tutto campo, una delle ipotesi è omessa vigilanza. Per scoprire cosa stava succedendo una rete di telecamere interne, due solo nelle stanze

Le botte in ospizio

Le botte in ospizio

Arezzo, 22 aprile 2018 - Loro chiedono scusa e si dicono pentiti dei maltrattamenti da kapò inflitti agli anziani ospiti della casa di riposo di Castel San Niccolò, ma sono gli unici che hanno bisogno di farsi perdonare? E’ la grande domanda dinanzi alla quale si trova adesso l’inchiesta sull’ospizio degli orrori, quello nel quale i vecchietti venivano schiaffeggiati e sbatacchiati come se fossero cenci vecchi, con bestemmie, maleparole e offese la più leggera delle quali era «Il giorno che mori si fa festa».

Bene, qualcuno ha chiuso gli occhi per non vedere i comportamenti dei sei operatori socio-sanitari interdetti e della settima solo indagata? Il Pm Marco Dioni è prudente ma i carabinieri dicono a chiare note che l’indagine non finisce qui. Se qualcuno sapeva e ha girato gli occhi dall’altra parte, se qualcuno non ha sorvegliato i sette protagonisti di questa storiaccia che ha scosso l’Italia e omettendo di controllarli ha consentito, sia pure involontariamente, che le botte e gli insulti diventassero pratica quotidiana, gli inquirenti sono pronti a perseguirlo negli sviluppi dell’inchiesta, quella che, mutuando un termine delle indagini anti-mafia, andrà a caccia di un eventuale secondo livello.

I sette operatori socio-sanitari, le cui responsabilità peraltro non sono tutte uguali, hanno fatto da soli, ma chi li guidava, chi aveva la responsabilità di cosa succedeva nella casa di riposo, è mai stato nelle condizioni di cogliere gli stessi segnali poi raccolti dai carabinieri e dalla procura? E se sì è stata solo una distrazione non rilevante penalmente oppure c’è stato un omesso controllo che viola il codice?

Ora che il quadro delle responsabilità degli indagati è stato completato con gli interrogatori in cui in tre hanno sostanzialmente ammesso, sia pure giustificandosi con un lavoro dai ritmi massacranti, diventa questo il leit-motiv degli inquirenti. Intanto, trapelano altri particolari sull’indagine culminata nelle ordinanze del Gip Giampiero Borraccia e nelle perquisizioni, domiciliari e personali, di mercoledì all’alba.

Di telecamere dentro la casa di riposo ce ne erano tre. Due piazzate nelle stanze degli anziani ospiti, una terza nel salottino in cui i più arzilli di loro si ritrovavano durante il giorno. I filmati più scioccanti, quelli montati nel video dei carabinieri, sono stati ripresi con le prime due, la terza è servita soprattutto per gli audio.

Di stanze, però, dentro la struttura ce ne sono una decina. Come hanno fatto i carabinieri ad andare a colpo sicuro piazzando le telecamere laddove le immagini hanno poi dimostrato che si svolgevano le scene peggiori? Chi indaga, pur non volendo spiegare con quale stratagemma le candid camera siano state sistemate dentro la casa di riposo, ammette che già c’era un’idea di quelli che potenzialmente erano i vecchietti più a rischio e che quindi si è cominciato da lì. Con risultati molto più sinistri di quanto fosse nelle aspettative di partenza.

C’è infine un ultimo retroscena, le boccette di potenti psicofarmaci ritrovati in casa di una delle interdette. Lei lì per lì non ha dato giustificazioni, ora gli avvocati parlano di uso personale. Il dubbio è che, contro ogni regola, qualche operatore le somministrasse agli anziani più irrequieti senza prescrizione medica. Ma nei filmati non c’è niente del genere, dimostrarlo, se qualcuno non ammette, sarà quasi impossibile.