Muore di Covid: la fine in ospedale dell'ex Pm Elio Amato

Per 37 anni in servizio a palazzo di giustizia, in procura e anche in tribunale. Le grandi inchieste e la querelle con Montanelli. L'ergastolo sul caso Congiatu

Elio Amato

Elio Amato

Arezzo, 26 ottobre 2020 - Di sicuro non l’avrebbe consolato, ma fra tanti morti anonimi, semplici numeri da statistica purtroppo, lui è la vittima più illustre del Covid ad Arezzo. Elio Amato, 81 anni, ex Pm ed ex giudice del tribunale, uno che ha messo la firma su decine di inchieste e di sentenze clamorose, se ne è andato sabato sera, in ospedale, nel reparto di rianimazione, stroncato proprio dal contagio che lo aveva raggiunto lì dentro.

Al San Donato era entrato qualche settimana fa per le conseguenze di una brutta caduta in casa, lì però è poi risultato positivo al Covid ed è andato progressivamente peggiorando, fino all’inevitabile.

Amato, classe 1939, nato ad Acri, in Calabria, provincia di Cosenza, da famiglia palermitana, figlio e nipote di magistrati, una continuità della quale si vantava con discrezione, era entrato in magistratura nel 1972. Prime destinazioni Milano e Nuoro, nella stagione dei sequestri di persona dell’Anonima sarda e del banditismo della Barbagia.

Ad Arezzo era approdato, in procura, nel 1976, e da allora non si è più mosso: 37 anni di servizio fino al pensionamento del 2014, ancora lucido e attivo ma condizionato dall’ictus che lo aveva colpito negli ultimi tempi. Fino ad allora era facile incontrarlo sulla sua Giulia Alfa Romeo d’epoca blu, un marchio al quale teneva tantissimo.

Nel ruolo dei Pm è rimasto per quasi tutta la sua carriera, con qualche raro passaggio nella magistratura giudicante. Le inchieste sulle quali ha messo le mani sono così tante che c’è solo da scegliere quelle delle quali è rimasta maggiore memoria. A cominciare dall’indagine del novembre 1988 su un uxoricidio a Laterina, il marito che aveva strangolato la moglie.

Era appena stata riformata la normativa sulla custodia cautelare, che limitava gli arresti ai soli casi di pericolo di fuga, rischio di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. Amato fu il primo in Italia ad applicarla e, ritenendo che non ci fosse nessuna delle condizioni, rimise in libertà l’assassino. Lo fulminò Indro Montanelli sul Giornale: si è precostuito l’alibi per quando succederà a lui.

Il Pm lo querelò e costrinse il grande giornalista a pagare: «Mi ci sono comprato la casa», ci scherzava sopra. Due anni dopo, nel 1990, toccò a lui occuparsi dell’esplosione al Principe, discoteca allora in viale Michelangelo, che lì per lì (erano i giorni della prima guerra del Golfo) fu presa per un attentato ispirato dall’Iraq di Saddam Hussein.

In realtà era solo una fuga di gas. Il caso che è tuttavia emblematico di un’intera carriera, della sua preparazione giuridica e anche della sua costanza di accusatore, è quello del delitto Congiatu, nell’estate 2001.

Prima in fase di indagine, conclusa con l’arresto dell’ex sottufficiale dei carabinieri accusato di aver ucciso il farmacista di Poppi Gianfranco Dal Monti, poi col processo, nel salone della vecchia corte d’assise di piazza Grande. Amato chiese e ottenne l’ergastolo, l’unico nell’ultimo secolo ad Arezzo.

Il canto del cigno è l’inchiesta sulla sparatoria dell’Orciolaia, il 29 marzo 2009, regolamento di conti fra due bande di albanesi. Il Pm è implacabile nella fase preliminare ma non ce la fa ad affrontare il processo, sostituito dalla collega Ersilia Spena.

Un tramonto dorato. La terra gli sia lieve. Cordoglio alle figlie Barbara e Bianca dal procuratore Roberto Rossi e dal presidente ad interim del tribunale Gianni Fruganti.