Morti asfissiati, il gas non doveva uscire nello stanzino: e i falsi allarmi c'erano stati

L'impianto, che scatta solo al segnale di almeno due sensori, è fatto per incanalare le sostanze verso le stanze dei documenti. E comunque la concentrazione lì doveva essere inferiore

I vigili del fuoco all'archivio di stato

I vigili del fuoco all'archivio di stato

Arezzo, 22 settembre 2018 - Il gas assassino dentro quel bugigattolo non doveva esserci. Tantomeno nelle concentrazioni che hanno prima stordito e poi ucciso Piero Bruni e Filippo Bagni, i due impiegati dell’archivio di stato di Arezzo morti venerdì mattina dopo essere stati investiti dall’Argon sprigionato dal sistema anti-incendio.

Al secondo giorno di inchiesta (il lavoro di carabinieri, vigili del fuoco e dipartimento anti-infortuni della Usl è coordinato dal Pm di turno Laura Taddei) non ci sono ancora avvisi di garanzia né tantomeno certezze su quanto è accaduto. Solo tante domande e una montagna di dubbi. Lunedì l’autopsia, che potrebbe portarsi dietro i primi indagati.

L’allarme anti-fuoco dell’archivio è congegnato in modo tale che se scatta, il gas viene rilasciato dalle bombole conservate nello scantinato da cui non sono usciti vivi i due dipendenti e incanalato direttamente nei tubi che portano agli ambienti protetti, quelli in cui sono conservati i documenti. Perché dunque l’Argon è filtrato nel bugigattolo della morte? E perché ci è filtrato in una concentrazione così elevata?

E’ uno dei punti chiave delle indagini, al pari del motivo per cui è partito l’anti-incendio nonostante non ci fosse nessun principio di fiamme all’interno dell’archivio. Proprio per evitare situazioni del genere, l’impianto si attiva non al primo sensore ma solo se ce n’è almeno un altro che ne dà conferma. E allora come è possibile che alle sette e mezzo di mattina sia partita la sirena, accompagnata dal segnale acustico intermittente nel locale della portineria?

Eppure l’intero sistema era stato revisionato appena in giugno dalla ditta Remas che ne ha la manutenzione. Si arriva così al dubbio fatale: cosa ha indotto Piero e Filippo a scendere nel sotterraneo della centralina senza aspettare i tecnici della Remas, che pure erano stati avvertiti, e i vigili del fuoco? E perché lo hanno fatto senza alcuno strumento di autoprotezione come almeno una maschera?

Più di una fonte inquirente conferma quanto La Nazione aveva già anticipato ieri: i falsi allarmi si erano ripetuti in più occasioni. Situazioni nelle quali era partita la sirena, era scattato il segnale acustico ma senza incendi e senza nemmeno rilascio di gas. Può essere successo, quindi, ma è solo un’ipotesi, che Bruni e Bagni, entrambi nella squadra di sicurezza dell’archivio, siano scesi convinti di trovarsi di fronte a una situazione di routine, la solita emergenza a vuoto. Invece stavolta il gas li ha investiti davvero quando hanno aperto la porta ermetica.

Dranmatica la sequenza registrata nella telefonata fra il portiere e il 118, ora allegata anche al sito de La Nazione: «Subito un’ambulanza». “Ma cosa è successo, uno scoppio?“, «Sì, credo di sì». A questo punto si inserisce la terza voce, probabilmente un’impiegata: «Ci sono due persone a terra, non si sa se sono morte o vive». Intanto, ad Arezzo è un altro giorno del dolore.

Dopo il lutto cittadino indetto dal sindaco Alessandro Ghinelli, i sindacati hanno proclamato uno sciopero generale per il giorno dei funerali, forse martedì. Si va verso due cerimonie separate: Filippo Bagni, sposato, con una figlia, in Duomo, dove aveva preso messa appena un’ora prima di morire, Piero Bruni, una moglie e due figli, nella chiesa di San Pietro e Paolo, parrocchia nella quale era ministro dell'eucarestia.