Monica, la scelta del presidente: "Perché Mattarella ha puntato su di me"

Bettoni: premio simbolico a una figura istituzionale «Ho ricoperto vari ruoli ma non sono rimasta a casa a riscuotere il vitalizio» «Non scorderò gli anziani malati e soli»

Monica Bettoni

Monica Bettoni

Arezzo, 5 giugno 2020 - Rifiuta l’etichetta di eroina, dice di non essere un soldato e di non vestire la divisa, ma Monica Bettoni è entrata a pieno titolo fra i personaggi simbolo della lotta al Covid. Unica toscana, è stata insignita dal presidente Sergio Mattarella dell’onorificenza di cavaliere del lavoro.

Come ci si sente il giorno dopo? «Molto bene, onorata ma anche frastornata. Per tutto il giorno sono stata tempestata di chiamate di persone che volevano congratularsi e di giornalisti. Immagino che lei non sarà l’ultimo a comporre il mio numero di telefono».

Perché a suo giudizio Mattarella ha scelto di insignire Monica Bettoni? Non era l’unico medico rientrato in servizio dopo la pensione... «E’ una domanda che mi sono posta anch’io e di fronte alla quale non posso essere sicura di dare la risposta giusta. Ma un’idea ce l’ho».

Ce la esponga... «Credo che il presidente abbia fatto una scelta simbolica. Monica Bettoni è donna, è medico, ha ricoperto ruoli istituzionali da sottosegretario alla sanità nei governi Prodi e D’Alema e da direttore dell’istituto superiore di sanità».

E dunque? «Dunque non sono una che rimane a casa a riscuotere il vitalizio parlamentare. Il riconoscimento a me potrebbe avere il significato, in senso lato, di ridare dignità a figure istituzionali che continuano a impegnarsi, nel mio caso anche a un’età considerata ad alto rischio per l’infezione da coronavirus».

Quanto è rimasta all’ospedale di Fidenza? «Tre settimane, così come prevedeva il protocollo di rientro in servizio. Avevo cominciato il primo aprile, partita da Roma con il contingente iniziale. In aereo siamo arrivati a Bergamo e poi, in pullman, mi sono trasferita a Parma per poi andare al lavoro nell’ospedale di Fidenza».

Ci sono episodi che le sono rimasti particolarmente impressi durante questo periodo? «Non uno nello specifico. Rimane soprattutto il contatto con persone anziane e sole che tiriconoscono anche se hai la mascherina a coprirti il volto, che vedono in te l’unico tramite con il mondo reale là fuori».

Com’è uscita da questa esperienza? «Molto arricchita, sul piano umano proprio per le considerazioni appena fatte, nel rapporto con persone che soffrono per un male sconosciuto».

E sul piano professionale? «Mi sono misurata appunto su un virus di cui ignoravamo l’esistenza. E’ stato poi importante l’aver scoperto che ci sono tanti giovani medici, soprattutto donne, che hanno uno straordinario bagaglio di professionalità e conoscenze e che già sono grandi risorse per il nostro sistema sanitario».

Ma alla fine, come mai si è decisa a fare un passo comunque rischioso? «Perché se si è medici, si rimane medici per tutta la vita, a prescindere da esperienze diverse».

Ha avuto mai paura? «La paura va affrontata razionalmente, con le adeguate precauzioni e le necessarie protezioni. Sotto questo aspetto l’ospedale di Fidenza è attrezzatissimo, è una struttura molto efficiente, molto organizzata e funzionale».

E’ rimasta in contatto con Fidenza? «Ci sentiamo spesso, abbiamo creato legami solidi e quando sarà possibile tornerò senz’altro in Emilia per una bella cena con i colleghi. Sarà per ricordare il periodo dell’emergenza e per cementare ancor di più i rapporti di amicizia».