E' morta per fuggire allo stupro: condannati a sei anni Albertoni e Vanneschi

Tre anni per tentata violenza sessuale e tre per morte in conseguenza di un altro reato. La sentenza 7 anni dopo la tragedia. L'abbraccio dei genitori

I genitori di Martina si abbracciano

I genitori di Martina si abbracciano

Arezzo, 15 dicembre 2018 - Sono stati loro. Non hanno dubbi i giudici del tribunale di Arezzo: sono stati Alessandro Albertoni, campione di motocross, e Luca Vanneschi, piccolo artigiano, a provocare il volo mortale di Martina Rossi, mentre cercava disperatamente di sfuggire a un loro tentativo di stupro.

Era l’alba tragica del 3 agosto 2011 quando la studentessa genovese, la cui storia è diventata un tormentone mediatico, cadde dal settimo piano del grande albergo di Palma di Maiorca in cui era in vacanza, ma ci sono voluti sette anni, prima per riaprire il caso in Italia e poi per arrivare a una sentenza. Quella appunto che condanna i due ragazzi aretini a sei anni ciascuno, tre per ognuno dei capi di imputazione, la morte come conseguenza di altro reato e la tentata violenza sessuale di gruppo, perchè già due bastano per fare un branco.

Il presidente Angela Avila legge il verdetto alle sei di sera, in un’aula nella quale non vola una mosca. Si sente solo, sullo sfondo, il pianto commosso di Bruno e Franca Rossi, i genitori di Martina, protagonisti di una lunga battaglia prima in Spagna e poi in Italia perché la morte della figlia non finisse archiviata come suicidio, la prima conclusione della polizia e della giustizia iberica.

«Finalmente si è alzato un velo di verità – commenta a caldo papà Bruno – Lei non era tipo da uccidersi. Nostra figlia non ce la ridà nessuno ma questa sentenza ci ripaga di tanta sofferenza». Anche il procuratore capo Roberto Rossi, che aveva chiesto sette anni nella sua requisitoria, si concede per un attimo ai microfoni: «È stato un caso di giustizia che funziona, in sei mesi abbiamo portato a termine il processo. Voglio sottolineare solo la dignità dei genitori».

I giudici hanno creduto alla sua ricostruzione, allo scenario nel quale Alessandro e Luca, vent’anni all’epoca, tentarono un approccio sessuale quando si ritrovarono soli nella loro camera con Martina, mentre i loro amici e le compagne di lei avevano formato le coppie per amoreggiare nell’altra stanza del primo piano.

Di fronte alla ragazza che li respingeva, i due giovani sarebbero passati alla forza, sfilando alla studentessa i pantaloncini. Poi la fuga disperata di lei verso il balcone, il tentativo di passare nella camera accanto in equilibrio precario e il terribile volo. Nel difendersi Martina avrebbe graffiato Albertoni sul collo, segni che lui ha giustificato, prima di chiudersi insieme all’amico in un silenzio che dura da anni, con una crisi di nervi di lei, quasi impazzita, che poi sarebbe corsa al terrazzo per buttarsi.

Decisiva probabilmente la testimonianza dei vicini di stanza danesi che sentirono passi di corsa giù per le scale subito dopo un urlo disperato di donna. Per l’accusa erano di Alessandro, mentre lui ha sempre detto che era già sceso a chiedere aiuto alle amiche. Decisive anche le intercettazioni dei due ragazzi sentiti a Genova sei mesi dopo.

È Albertoni che sussurra a Vanneschi: non ci sono segni di violenza sessuale ed esulta col pugno. La difesa ha cercato di accreditare per tutto il processo lo scenario del suicidio di lei ancora in crisi per una vecchia depressione d’amore. L’avvocato Tiberio Baroni scivola via senza parlare, il collega Stefano Buricchi dice che «ci sono tre gradi di giudizio per rimediare agli errori».

Luca, che non era in aula come Alessandro, lo ha avvertito lui, a caldo: non è rimasto sorpreso, temeva la condanna. Chiudono gli avvocati di parte civile, Luca Fanfani e Stefano Savi: ora la Spagna dovrebbe chiedere scusa a Martina per averla etichettata come una ragazza da suicidio.