Martina, ecco i perché del nuovo ribaltone: ma la prescrizione resta un’ombra pesante

La suprema corte rimanda a un nuovo processo d’appello per due indizi chiave: la sbeccatura laterale nel balcone della caduta e l’inattendibilità della cameriera spagnola

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di Salvatore Mannino

Non finisce qui, dunque. Non finisce mai un caso, quello di Martina, che commuove l’Italia da anni e che adesso arriva a un altro ribaltone, la sentenza della terza sezione penale della Cassazione che rovescia le assoluzioni d’appello. Non è esattamente una campana a morto, ma è comunque un gran brutto suono per Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, i due ragazzi di Castiglion Fibocchi accusati di aver provocato la morte della studentessa genovese, caduta (forse) dal balcone del sesto piano mentre cercava di sfuggire a un loro tentativo di stupro. Speravano che il loro calvario giudiziario fosse finito il 9 giugno, col verdetto di secondo grado, dovranno affrontare un altro processo d’appello. Con la prospettiva quasi inevitabile (se prima non scatta la prescrizione, inesorabile dopo il 20 agosto) di una condanna, almeno per l’unico reato rimasto in piedi, la tentata violenza sessuale. Di gruppo perchè erano in due.

Ma cos’è che ha giocato contro i due, Alessandro e Luca, il campione di motocross e l’artigiano rovinato da questa storia infinita? Probabilmente, anche se bisognerà attendere di leggere meglio le motivazioni, due indizi chiave che il sostituto Pg di Cassazione, Angelo Domenico Seccia, interpreta in maniera diversa rispetto ai giudici di Firenze e soprattutto rimprovera a questi ultimi di non aver inserito in un mosaico unitario. Il primo è la sbeccatura rimasta sul terrazzo della camera 603 dell’Hotel Santa Ana di Cala Mayor, a Palma di Maiorca.

Secondo Seccia, e anche secondo il ricorso della parte civile (in aula c’erano lo storico legale dei genitori, Stefano Savi, il professor Enrico Marzaduri, e Luca Fanfani), è un segno che sta di lato rispetto al balcone, a 15 centimetri dal terrazzo della camera vicina, e avvalora dunque lo scenario della fuga di Martina dall’agguato sessuale dei giovani castiglionesi. C’è poi il racconto della cameriera spagnola Francisca Puga, unica testimone oculare, alla quale i giudici d’appello avevano dato credibilità (lei dice che la studentessa si lasciò cadere al centro), mentre Seccia lo stronca: non poteva vedere quello che dice di aver visto, per la semplice ragione che non stava nella caffetteria dell’hotel, come afferma la difesa, ma davanti a un bar-birreria più distante e coperto.

Inutilmente gli avvocati di Luca e Alessandro hanno provato a controbattere. Ha tentato Tiberio Baroni, legale di Albertoni, ha tentato Carlo Buricchi, che sostituiva in cassazione il figlio Stefano, ha tentato soprattutto il loro cugino, l’avvocato savonese Lorenzo Brunetti, che alla bella età di quasi novant’anni ha retto comunque a un’arringa di quasi due ore. Ci sono stati anche momenti di tensione, come quando la madre di Martina, Franca Murialdo, ha avuto l’impressione che la figlia venisse dipinta come una mangiatrice di uomini e ha abbandonato l’aula. Cinque minuti di sospensione e poi di nuovo davanti ai giudici.

Se davvero questi ultimi hanno creduto al Pg Seccia, sono tornati in scena anche i testi danesi che occupavano la stanza vicina e che hanno detto di un urlo (quello di Martina che precipitava, non della Puga che assiste) e di passi frettolosi lungo le scale, attribuiti ad Albertoni che scendeva dopo il tragico volo. E’ la rivincita in questo caso del procuratore Roberto Rossi, grande accusatore del primo grado, e del presidente di quel collegio Angela Avila, che nelle motivazioni disegnava un quadro molto simile a quello della cassazione.