Martina, dall'archiviazione per suicidio alla condanna: vince il teorema Rossi

Non si è gettata, morta per scappare: dopo sette anni ribaltate le prime conclusioni. Indizi? Il graffio sul collo di Albertoni e le frasi intercettate a Genova

Il procuratore capo Rossi

Il procuratore capo Rossi

Arezzo, 15 dicembre 2018 - Ha vinto il procuratore capo Roberto Rossi, capace di articolare un teorema che vale una condanna a sei anni per i due imputati del giallo di Martina da indizi labili come tele di ragno, ha vinto la parte civile, che è riuscita a ottenere la riapertura del caso in Italia, ma hanno vinto soprattutto papà Bruno e mamma Franca, i genitori della studentessa genovese per la quale ora c’è una sentenza che dice: è morta in conseguenza di un tentativo di stupro.

Quello che la famiglia ha sempre sostenuto, in una battaglia che è durata sette anni e che non è ancora finita, perchè restano due gradi di giudizio. Il verdetto che inchioda Alessandro Albertoni, campione di motocross, e Luca Vanneschi, coetaneo, piccolo artigiano, arriva alle sei di sera.

Il presidente Angela Avila lo legge con voce piana mentre in aula regna il silenzio, rotto solo, quando è chiaro che si tratta di una sentenza di condanna, dal pianto leggero dei genitori, che avevano atteso la fine della camera del consiglio in un clima di trepidazione crescente.

Rispetto alla requisitoria del procuratore Rossi c’è solo una leggera limatura della pena, sei anni invece dei sette richiesti, ma non ci sono neppure le attenuanti generiche che erano il minimo sindacale per la difesa degli avvocati Tiberio Baroni (Albertoni) e Stefano Buricchi (Vanneschi). Nessun dubbio del tribunale, invece, sul fatto che i due ragazzi di Castiglion Fibocchi siano colpevoli di entrambi i capi di imputazione: morte come conseguenza di altro reato e tentata violenza sessuale di gruppo.

In aula loro non ci sono, come non ci sono mai stati per tutto il processo e come non hanno mai più parlato da quel disgraziato interrogatorio del febbraio 2012 che è stato probabilmente fatale ad entrambi. Perchè le motivazioni non ci sono ancora ma è probabile che i giudici ci inseriscano le intercettazioni ambientali della polizia che colgono Alessandro mentre dice a Luca: non c’è segno di violenza sessuale. Ed esulta col pugno.

Vanneschi viene informato a caldo da Buricchi. Non si scompone, dice che se lo aspettava, che già tirava aria di condanna. Di Albertoni non si sa, Baroni scivola via senza commentare, come invece fa il collega: «Ci sono tre gradi giudiziari proprio per rimediare agli errori dei giudici. Ricorreremo».

Ci sarà, appunto, da smontare il teorema Rossi (con la collaborazione degli avvocati di parte civile Stefano Savi, protagonista della riapertura del caso a Genova, e Luca Fanfani), quello secondo cui i due ragazzi aggredirono sessualmente Martina dopo essere rimasti soli con lei nella camera del sesto piano all’Hotel Santa Ana di Palma di Maiorca, dove tutti erano in vacanza, nell’alba tragica del 3 agosto 2011.

Le sfilarono i pantaloncini e la lasciarono indosso solo le mutandine con con cui poi precipitò, incuranti della sua reazione di cui sarebbero prova i graffi sul collo di Albertoni (ma lui li giustifica con l’improvviso impazzimento di lei che l’avrebbe portata al suicidio). Poi la fuga della studentessa verso il balcone e la caduta mentre cercava di scavalcare.

Un teorema che per i giudici non vacilla neppure di fronte all’unica testimone oculare, la cameriera Francisca Puga che non ha mai avuto dubbi: l’ho vista lasciarsi cadere.

Un suicidio, insomma, la tesi sostenuta anche dalla difesa e che èla grande sconfitta del processo, insieme alla primainchiesta spagnola, archiviata proprio come suicidio. «La Spagna dovrebbe chiedere scusa», chiosa Luca Fanfani: «Martina non era pazza».