Lavoro: commercio, bar e ristoranti pagano il prezzo del virus, già persi 6500 posti

Sono il 20 per cento dei 31 mila addetti, soprattutto stagionali ed atipici che non sono coperti dal blocco dei licenziamenti. Pressochè nullo l’impatto sul settore dei dipendenti, che salgono del 5 per cento. Ma cosa succederà quando scadrà il divieto?

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di Salvatore Mannino

II conto del Covid non è uguale per tutti. Come nella Fattoria degii Animali di Orwell ci sono alcuni che sono più uguali degli altri, persino per quanto riguarda il mercato del lavoro, la cui crisi è quasi nulla (almeno per ora) in alcuni settori, mentre getta già una luce sinistra su altri. E manco a dirlo a soffrire di più e per primi sono gli addetti del comparto commercio-bar-ristoranti, quello che è chiuso o ridotto all’asporto anche in questi giorni e che dall’inizio della pandemia è stato sempre in prima linea quanto a danni subiti. Lo conferma pure l’indagine sul mercato del lavoro promossa dalla Camera di Commercio e ora commentata dal segretario Marco Randellini nonchè dalla vicepresidente ad interim Anna Lapini, al posto di Massimo Guasconi, interdetto e autosospeso.

Bene, l’impatto del virus sull’occupazione è stato pressochè nullo, con una diminuzione del lavoro di sole 800 unità su 145 mila addetti totale, in cifre appena lo 0,6 per cento, meno di un anno di congiuntura negativa. Però...Già c’è un però e sta nella ripartizione fra lavoro dipendente ed autonomo, col primo che che fa la parte del leone (l’80 per cento dell’occupazione totale) e aumenta addirittura del 5 per cento. Quasi come non ci fosse stato il Covid. Detto così, sembrerebbe un miracolo, ma la spiegazione c’è e anche intuitiva. Vige tuttora il blocco dei licenziamenti, il che significa che le imprese non possono liberarsi del personale eventualmente in eccesso, al massimo scaricarlo sulla cassa integrazione. La grande incognita è cosa succederà quando, si parla di giugno ma potrebbe slittare anche all’autunno, scadrà il divieto di licenziare. Ce la farano tutti a mantenere i loro livelli di dipendenti o si va verso un sensibile aumento della disoccupazione?

Ci sono poi i non garantiti, ossia gli autonomi, che col 20 per cento della forza lavoro provinciale sono quelli che assorbono per intero il primo impatto della crisi. Il calo dell’occupazione è in questo comparto del 18 per cento e spiccioli, poco meno di un occupato ogni cinque. Non è poco. Ma il vero fardello lo porta appunto quel settore nel quale sono compresi il commercio, i bar e i ristoranti, che da maggio in poi sono le vittime predilette dello stop and go della politica sanitaria: riaprono, richiudono, asportano a seconda del lockdown o del colore del momento. Una fisarmonica che, secondo le cifre della Camera di Commercio, è già costato 6700 posti di lavoro, il 21 per cento dei 31 mila occupati totali, decisamente il prezzo più alto dell’intera economia aretina, come era facile immaginare anche dai gridi di dolore che periodicamente si levano dai protagonisti. Chi è rimasto in trappola? Quelli che hanno forme di contratto atipico, come gli stagionali e gli assunti a termine. Per loro non vale il blocco dei licenziamenti: la stagione non comincia nemmeno o finisce prima del tempo? Gli atipici vanno a casa, come quelli il cui contratto non viene rinnovato a scadenza ed è difficile pensare a rinnovi in un settore paralizzato.

C’è poi l’incertezza più generale sulle nuove assunzioni, dettata dalla prudenza di aziende che non sanno come andrà a finire. Per ora il tasso di disoccupazione resta stabile al 7,5 per cento (7,4 nel 2019) ma già si registra la scarsa propensione ad aumentare la forza lavoro: dal meno 22 del tempo indeterminato al meno 45 dei tirocini. Anche questa è l’economia aretina ai tempi del Covid.