La morte della "Circe", parlano i vicini: "Era sola, chiedeva aiuto e accorrevamo"

In casa solo due cagnolini, un paio di persone la accudivano. C'è chi sapeva il suo terribile segreto, gli altri no. La malattia, il ricovero finale in ospedale. Niente funerali, sarà sepolta qui

I vicini di casa e gli ultimi anni della "Circe"

I vicini di casa e gli ultimi anni della "Circe"

Arezzo, 16 gennaio 2019 - Per 24 anni in galera, accusata di aver ucciso il marito con l’aiuto dell’amante, Maria Luigia Redoli, la «Circe della Versilia», ha trascorso gli ultimi anni della sua vita in un piccolo appartamento al piano terra, a pochi metri dal tribunale di Arezzo, sola, e malata. Da almeno due anni soffriva di una grave patologia renale, le sue condizioni si sono improvvisamente aggravate una settimana fa, lo scorso 9 gennaio, quando è stata ricoverata in nefrologia, al San Donato. Da quel momento le sue condizioni sono precipitate, fino alla morte di lunedì.

 LA STORIA CHE DIVISE L'ITALIA

Tra questi condomini a mattoncini in pochi conoscono la sua storia. Una vicenda che, nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1989, fece balzare il suo nome agli onori della cronaca. Maria Luigia, aveva cinquanta anni, abitava a Forte dei Marmi con il marito e i due figli. Aveva un giovane amante, Carlo Cappelletti, ex carabiniere a cavallo. Quella notte, Maria Luigia e Carlo avrebbero ucciso il marito di lei, Luciano Iacopi, facoltoso agente immobiliare, con diciassette coltellate.

Maria Luigia Redoli, all'epoca definita la "Circe della Versilia"
Maria Luigia Redoli, all'epoca definita la "Circe della Versilia"

La giustizia stabilì che lei fosse la mandante e lui l’esecutore. Si aprirono le porte del carcere, dove è rimasta ventiquattro anni. «Non mi ha mai raccontato la sua storia» racconta Nico, un giovane vicino di casa, visibilmente dispiaciuto dalla notizia della morte della donna. «Mi diceva che ero un angelo, perché accorrevo ogni volta che la sentivo gridare, chiedere aiuto. Stava molto male e ogni notte cadeva» continua a raccontare.

«Così io scendevo le scale, entravo dalla finestra che lasciava un po’ aperta per ogni evenienza e la sollevavo da terra». Da qualche tempo la donna aveva delle badanti, che la assistevano durante il giorno. «Da quello che so io non riceveva visite da amici o parenti. Forse il figlio è venuto qualche volta, ma solo in modo sporadico. Maria Luigia era sola e molto malata».

CIRCE DELLA VERSILIA, LE FOTO 

 NOZZE IN CARCERE PER LA CIRCE 

Sola, ma riceveva gli aiuti dai vicini. Oltre a Nico, ad accorrere ogni volta che la sapeva in difficoltà, c’era anche Francesca Pannuzzi, giovane infermiera. Anche lei non conosceva il passato ridondante della signora. Conosceva però le sue fragilità fisiche e psichiche che negli ultimi anni la attanagliavano. «Un giorno si era tagliata, c’era il sangue che colava. L’ho assistita e disinfettata. Un’altra volta l’ho aiutata ad alzarsi dopo una caduta».

A farle compagnia due piccoli cani. «Le due collaboratrici si sono fatte carico del chihuahua, ma la bassotta Birba è ancora qui. Fa tristezza, no smette di piangere da lunedì», spiega. Maria Luigia Redoli dopo la scarcerazione del 2015 era andata ad abitare a Pavia con il secondo marito. Negli ultimi tempi si era trasferita ad Arezzo, più vicina al figlio Diego, che alleva cani a Monte San Savino, probabilmente a seguito di un peggioramento delle sue condizioni fisiche.

Un rapporto, quello con i figli, aveva anche Tamara, che si era incrinato con l’omicidio del padre. Ieri la salma della donna era stata sistemata nella stanza funeraria del San Donato. Solo un fiore a farle compagnia. Oggi verrà sepolta nel cimitero di Arezzo.