"La mia verità su Martina": appello, parla Albertoni. "Una canna e lei ha perso la testa"

"Il rimorso di non essere in stanza quando è caduta". Parla anche Vanneschi: innocente. Si va all'11 marzo: Corte in camera di consiglio, verdetto o riapertura del dibattimento

Alessandro Albertoni

Alessandro Albertoni

Arezzo, 18 febbraio 2020 - Albertoni parla, come Charlot al tempo del passaggio dal muto al sonoro. Anzi, Albertoni appare, rinunciando al ruolo di fantasma che non si era mai materializzato per anni e anni di inchieste e di processi.

Ultima comparsa a Genova, nel febbraio 2012, quando fu sentito come testimone della tragica morte di Martina di sette mesi prima, a Palma di Maiorca, il 3 agosto 2011, l’alba del volo fatale dal sesto piano di un grande albergo. Poi il silenzio, rotto solo dalla riapparizione nell’aula della corte d’appello, nel giorno che poteva essere della sentenza e che invece diventa un’altra udienza di transito.

Prossimo appuntamento l’11 marzo e chissà se sarà quella la data del verdetto. In teoria, i giudici potrebbero ancora decidere di riaprire l’istruttoria. Il campione di motocross ruba la scena al compagno, e amico, di imputazione Luca Vanneschi. Da sempre Alessandro è il più brillante, il più spigliato. Lo dimostra anche con le sue dichiarazioni spontanee, che impegnano la corte per almeno un ora, mentre Luca, l’artigiano, prende la parola per pochi attimi, giusto il tempo di leggere una breve dichiarazione: sono innocente e mi appello a voi giudici perchè lo riconosciate.

Di ben altro peso il racconto di Albertoni, 29 anni ben portati, maglioncino grigio e pantaloni casual, aspetto da sciupafemmine che lui conferma raccontanto le sue avventure di Palma. Ma questo è già fuori tema. Quel conta davvero è la ricostruzione della notte nella camera 609 dell’Hotel Santa Ana di Cala Mayor, quella della tragedia.

Io e Martina, spiega, ci siamo fatti una canna sul balcone, mentre Luca dormiva dentro la camera, con la marijuana che lui, insieme ad un amico, si era procurato il giorno prima sul mercato clandestino dell’isola. Lei, aggiunge,sotto l’effetto della droga ha perso la testa e ha cominciato a mormorare frasi incongruenti: tu sei un killer, tu mi vuoi uccidere.

Poi lo prende per il collo e lo graffica, con il che Albertoni spiega i segni che gli sono stati trovati al lato della gola. Alessandro si spaventa, decide di scendere a chiedere aiuto al primo piano, nella stanza delle amiche di lei, che stanno facendo sesso con i compagni di vacanza aretini dei due accusati.

«E’ il mio rimorso - dice - fossi rimasto di sopra, forse lei non sarebbe caduta». Fin qui è la copia conforme di quanto Alessandro aveva già raccontato alla polizia spagnola, della quale, spiega, aveva il terrore perchè temeva gli trovasse la droga, e agli inquirenti italiani nel primo verbale di Genova. Ci sono tuttavia due particolari aggiuntivi. All’epoca aveva raccontato che Martina si era sfilata i pantaloncini per il caldo, ora dice che aveva una maglietta così lunga da non sapere se li avesse davvero gli short.

E poi spiega di aver sentito l’urlo della ragazza che precipita mentre era nella hall con le amiche di lei, ma le giovani non ne hanno mai parlato. C’è anche la questione canne. Le analisi effettuate sul corpo di Martina dopo la tragedia per rilevare alcool e stupefacenti sono tutte negative.

Le difese lo spiegano con la scarsa attendibilità di quei controlli, svolti su campioni minuscoli, ma resta un punto critico. Albertoni parla anche del dopo, della testimonianza resa a Genova nel febbraio 2012, quando le telecamere della polizia lo riprendono mentre dice a Luca dopo esere stato sentito: non ci sono tracce di violenza.

Ed entrambi esultano. Ora lui spiega che non si riferiva allo stupro ma ancora alla droga. Avevo paura che ci fossero segni di quella. L’audio però non fa cenno a stupefacenti. Basterà a ribaltare il verdetto di primo grado oppure resta tutto com’era? La parola ai giudici d’appello.