La Liberazione dopo i mesi delle bombe Poi il difficile dopoguerra: fame e poco lavoro

Ma l’arrivo degli Alleati nel capoluogo non segnò la fine del conflitto in provincia. I tedeschi tennero duro fino a settembre

Tiziana

Nocentini

Il 16 luglio del 1944 le forze Alleate entrarono in un’ Arezzo ancora spettrale, accolti da scene di giubilo dei partigiani e dei pochi residenti che erano rimasti nella cintura urbana dopo un terriblle periodo di occupazione, massacri, bombardamenti. Ma si trattò di una liberazione parziale; infatti, gli Alleati riuscirono a completare la loro opera nel territorio aretino soltanto nei primi mesi del successivo settembre.

La stazione ferroviaria di Arezzo fu colpita da bombe, scagliate da un solo aereo inglese, la sera del 12 novembre 1943 alle ore 21. Questo fu il primo attacco notturno alla città che sorprese tutti gli abitanti. Da quel giorno la città fu devastata da attacchi aerei, bombardamenti e quant’altro la guerra prevedesse. Il 2 dicembre fu la volta del palazzo delle poste ma l’attacco avvenne a fine mattinata lasciando nello sgomento e nello smarrimento la gente che a quell’ora si trovava al lavoro e nei pressi del palazzo postale. L’azione militare continuò poi dopo e furono prese di mira le zone al di là di Lignano. Non fu risparmiata neppure la zona di San Leo “gli aerei alleati avevano scaricato i loro ordigni di morte nello scalo ferroviario e nell’area adiacente, fallendo l’obiettivo del monumentale Ponte di Pratantico. La stessa sera la stazione ferroviari fu bombardata nuovamente, la città iniziò a spopolarsi.

Nel mese di dicembre la parte ad ovest della città fu bombardata e Staggiano ed il quartiere di Pescaiola subirono numerosi danni. Pesanti distruzioni interessarono anche il centro storico della città, il cimitero cittadino e a colpire furono i trimotori B-26 con i caccia che erano partiti dalla base militare angloamericana dislocata in tunisia. La rabbia tedesca aumentò e le truppe tedesche saccheggiarono la zona di san Domenico, non mancarono saccheggi da parte di civili nelle abitazioni di tutto il centro storico. Tutta la popolazione accolse positivamente e con entusiasmo l’ingresso delle truppe alleate in Città.

Dalle immagini fotografiche è possibile cogliere l’entusiasmo dei civili che scortarono il carro armato britannico e vi salirono a bordo per il suo ingresso nel capoluogo.

La guerra naturalmente aveva sconvolto tutti gli equilibri, anche quelli economici. La situazione alimentare e dei trasporti era diventata disastrosa: visto che la maggior parte delle linee ferroviarie erano state bombardate.

La gente sfollata gradualmente ritornò in città. Lo stato in cui si trovava la popolazione era drammatico. Gli uomini erano stati impegnati al fronte, le donne avevano mandato avanti le famiglie occupandosi oltre che del lavoro nei campi anche di quello degli uffici, degli esercizi e di tutto quello che poteva portare guadagno per la famiglia. Il grado di povertà in cui versava gran parte della popolazione era molto alto ancora di più lo era ad Arezzo e provincia, dove i maggiori ricavi provenivano dall’agricoltura.

L’esperienza della guerra vissuta, la crisi con i bombardamenti angloamericani, lo sfollamento dai centri abitati, l’aumento dei prezzi, la fame, il mercato nero portarono ad un repentino cambiamento degli stati d’animo della popolazione civile.

Nella realtà aretina ben presto si tornò alla normalità: le truppe angloamericane furono “costrette” a nominare velocemente i rappresentanti del popolo ed in primo luogo i sindaci e le giunte che rappresentavano i Comitati di Liberazione Nazionale che si erano andati a formare in precedenza.

Nonostante questa grave situazione sociale, si intravedevano i primi sintomi della ripresa produttiva: miniere di lignite, grandi stabilimenti. La popolazione si trovò a dovere fronteggiare la mancanza di ortaggi, di latte, di carne bovina, di sapone e di tanti altri generi di prima necessità. Tutte queste problematiche venivano discusse settimanalmente nelle riunioni del Comitato di Orientamento Sociale, COS, presieduto dal Sindaco e a cui spesso prendeva parte anche il Prefetto.

Tale organismo cercava di disciplinare la distribuzione di materie prime come appunto sapone, zucchero, latte e regolare i prezzi di prodotti come le uova, carne che, avendo un costo elevatissimo, scomparivano dal commercio andando a dare impulso al mercato nero.

Per porre rimedio al grave problema della disoccupazione il Prefetto emanò un decreto in cui si rendeva noto che i conduttori di aziende agricole dovevano assumere manodopera disoccupata che fu implementato dal ritorno dei reduci dalla prigionia quantificabile in circa 6.000 unità.

I danni subiti, dal capoluogo e dai vari centri della provincia, prima dai bombardamenti e successivamente da cannoneggiamenti e dalle distruzioni operate dai tedeschi prima della loro ritirata costituivano un’entità di lavoro enorme. A questi si aggiungevano strade usurate dall’enorme traffico di guerra, ponti distrutti, gran parte delle opere d’arte danneggiate, la rete ferroviaria era malridotta, i danneggiamenti subiti dalla rete di distribuzione dell’acqua nelle città erano notevoli e la scarsità di alloggi diventava sempre più insostenibile.

La ripresa delle attività fu tardata a causa dell’occupazione, da parte delle Forze Armate, degli stabilimenti per le requisizioni e per le asportazioni arbitrarie di materiali operate da militari.

Alla conclusione del conflitto il problema prioritario era provvedere ai bisogni più urgenti della popolazione a cui si provvide fin dai primi mesi del 1945.

* Direttrice istituto storico della Resistenza