"La cabina di regia c'era": truffa Etruria, la Procura ricorre in appello

Nel mirino la sentenza che ha mandato assolti tutti i dirigenti del livello intermedio. Le mall di incitamento secondo i Pm dimostrano la responsabilità dei prosciolti

Protesta degli azzerati

Protesta degli azzerati

Arezzo, 20 settembre 2020 - La cabina di regia dietro il collocamento delle subordinate Etruria c’era davvero e non è vero che la procura abbia ignorato le responsabilità dei vertici della banca sull’emissione dei titoli: non a caso in cinque sono ancora a processo per il falso in prospetto. E’ questa, in breve, la motivazione del ricorso appena presentato dal Pm Julia Maggiore, firmato anche dal procuratore Roberto Rossi, contro la sentenza che sulla cosiddetta «truffa Etruria stabiliva sì una parziale responsabilità dei dipendenti finiti a processo, ma andava anche assolti tutti e cinque i dirigenti accusati di aver istigato i loro subordinati.

Un verdetto che fece discutere, quello del giudice Angela Avila, ora trasferitasi a Perugia, di un anno fa, e ancor più fecero discutere le motivazioni depositate a fine maggio, in particolare nel passaggio in cui si spiegava «che lo stesso Pm, nè qui nè altrove ha proceduto nei confronti dei vertici della banca, e in relazione al reato di falso in prospetto loro contestato ha chiesto l’archiviazione».

Come a dire che si era andati all’attacco del livello intermedio, quello dei cinque dirigenti, ma non degli amministratori veri e propri. In realtà, se in effetti il pool dei Pm del caso Etruria ha chiesto l’archiviazione per i membri del Cda (compreso Babbo Boschi), è vero anche che in tre, l’ex presidente Giuseppe Fornasari, l’ex direttore generale Luca Bronchi e l’ex responsabile del risk management David Canestri sono tuttora a processo, con la contestazione di non aver rappresentato nel prospetto di emissione dei bond il rischio reale che i risparmiatori correvano.

Una crepa nella quale il ricorso si insinua per contestare la sentenza Avila davanti alla corte d’appello. Tuttavia, I Pm vanno anche più in là nel sindacare l’assoluzione della cabina di regia, riprendendo pari pari gli argomenti portati da Julia Maggiore nel primo processo. Le mail di esultanza, quelle di incitamento, le promozioni e le penalizzazioni dei dipendenti più o meno abili nel collocamento dei titoli, si spiega, vanno lette come una corresponsabilità dei cinque dirigenti nella truffa che pure il giudice Avila dice esserci stata a danno dei sottoscrittori dei bond.

Lei le liquida come comunicazioni «sopra le righe» ma delle quali non è stato dimostrato il collegamento con l’azione dei dipendenti allo sportello che materialmente piazzarono le subordinate, la procura vede invece una catena di comando: i tre del falso in prospetto-la cabina di regia-le filiali che provvidero a vendere i titoli al grande pubblico dei risparmiatori comuni.

Ecco dunque che i Pm ricorrono anche contro le dodici assoluzioni di direttori di sportello e impiegati, poco convinti della distinzione sull’intensità del dolo fra quanti adoperarono ogni mezzo per collocare le subordinate (i quattro condannati) e gli altri che invece furono meno spregiudicati nel vendere.

La sentenza della «Truffa Etruria» è stata appellata anche dagli avvocati di quanti sono andati incontro a una decisione negativa, sia pure senza reali effetti pratici per la condizionale. Il caso, dunque, approda davanti ai giudici fiorentini aperto a tutte le soluzioni: un proscioglimento generale, una condanna altrettanto complessiva oppure un verdetto che distingua fra le posizioni, come in primo grado.

Chi (i cinque dirigenti) credeva di essere ormai fuori da una storia che ha lasciato comunque effetti pesanti, si ritrova risucchiato un’altra volta nel gorgo, ancora costretto a difendersi. Se ne riparla fra qualche mese, ma i tempi potrebbero anche essere più lunghi.