L'archivio di Agostino Pirella torna ad Arezzo: il dono del figlio Martino all'Università

Libri, scritti, appunti, carteggi e l'intera biblioteca per raccontare la rivoluzione psichiatrica che portò all'apertura dei manicomi e fece di Arezzo l'esempio italiano. In città il Centro di documentazione sulla psichiatria grazie anche al fondo Bruzzone con le voci registrate dei pazienti e l'archivio del dottor Martini. Progetto e finanziamenti dell'Università di Siena

Martino Pirella

Martino Pirella

Arezzo 20 gennaio 2019 - “Non sono stati i primari da soli a risolvere i manicomi”. Scriveva così Agostino Pirella in uno dei suoi taccuini, il direttore dell’ospedale psichiatrico di Arezzo degli anni Settanta e cittadini onorario di Arezzo, che con Franco Basaglia contribuì ad aprire i manicomi e rivoluzionò la psichiatria portando all’approvazione della legge 180. L’uomo che “smontava” i manicomi ad Arezzo scardinò dall’interno lo psichiatrico al Pionta, fino ad allora luogo di segregazione e violenza, insegnò ad ascoltare i pazienti, li fece parlare nelle famose assemblee aperte a degenti, infermieri e medici: ”I pazienti che partecipano prendono sempre meno farmaci” si legge in un’altra piccola agenda nera che ci porge l’archivista Lucilla Gigli.

Sì, perché i suoi scritti ora sono tutti ad Arezzo. Martino Pirella, il figlio di Agostino, ha donato l’intero archivio del padre al Dipartimento aretino. Duecento scatoloni pieni di libri, taccuini, quaderni, appunti di viaggio, riflessioni, annotazioni di incontri e convegni, testi didattici e scientifici, articoli pubblicati su riviste, testi di letteratura e filosofia, gli scritti per “Psichiatria democratica”, testimonianze delle esperienze negli ospedali di Mantova e Gorizia, e anche il libretto universitario. Sono arrivati da Torino per costituire la base di un centro di documentazione sulla psichiatria, qui dove è già attivo il centro Basaglia, e al cui riordino lavorano archivisti e bibliotecari dell’Università in accordo con la Soprintendenza archivistica Toscana.

“Affido in buone mani l’archivio di mio padre - confessa Martino Pirella - qui è come fosse tornato a casa. I contatti con l’Università, con la ex preside Loretta Fabbri e con Silvia Calamai e Massimo Bucciantini dell’Archivio storico dell’ex ospedale psichiatrico di Arezzo sono arrivati negli ultimi mesi di vita di mio padre quando lui stesso era preoccupato su che fine avrebbero fatto le sue cose. Dopo aver saputo il lavoro che stava facendo il Dipartimento universitario aretino con la donazione Bruzzone ho deciso di donare tutto ad Arezzo. Qui ho riconosciuto la stessa passione, la stessa energia, la stessa affinità culturale di quegli anni condivisi con mio padre”. Sullo studio della figura di Pirella l’Università di Siena infatti ha attivato anche un assegno di ricerca e una borsa di studio. Materiale prezioso che va ad aggiungersi all’Archivio Bruzzone che conserva le voci dei pazienti dello psichiatrico registrate dalla storica piemontese Anna Maria Bruzzone e trascritte nel libro “Ci chiamavano matti”, fondo custodito al Dipartimento aretino.

“Questo era il reparto agitati del manicomio di Arezzo - disse Pirella il giorno dell’inaugurazione del monumento alle vittime dei manicomi al Pionta nel 2009 entrando in Biblioteca - adesso è pieno di giovani studenti. Nessuno poteva immaginare all’epoca che un posto di dolore e di violenza sarebbe diventato un luogo di cultura e di pace. Noi ci abbiamo creduto e ci siamo riusciti".