L'abbraccio spezzato: muore di Covid, ogni sera la famiglia alla vetrata. Altri tre morti

I morti di aprile salgono a 34 Casi e ricoveri in frenata. Primi effetti sulle classi: Strada, stop a tutte le scuole 4 in quarantenao. Zona arancione netta: provincia a 210

La famiglia davanti alla vetrata

La famiglia davanti alla vetrata

Arezzo, 17 aprile 2021 - Non sono riusciti, con il loro sguardo innamorato, a trainarlo fuori dalla malattia. Alessandra dovrà rassegnarsi a sposarsi senza essere accompagnata all’altare dal babbo. Ma per giorni hanno scritto una delle pagine più emozionanti della pandemia. E di certo riuscendo a trasmettere ad Alessandro il calore che ne ha addolcito gli ultimi giorni.

Si è arreso ieri mattina, su quel letto di terapia intensiva che ormai lo ospitava da quasi sessanta giorni. E i medici sono stati costretti a chiamare i familiari, pur sapendo che ieri sera alle 21, puntuali come ogni giorno, sarebbero stati lì, davanti alla vetrata di rianimazione. La moglie, le due figlie, il futuro genero. Sapevano che lui si era aggravato ormai da qualche giorno e di certo temevano arrivasse quello squillo di telefono.

Però continuavano a sperare, come tutti quelli che hanno un malato tra la vita e la morte. Con il pensiero e con quello sguardo che ogni sera fino al coprifuoco dedicavano al padre o al marito, con gli infermieri a spostare discretamente le tende pur di farglielo vedere. Una storia che avrebbe meritato un lieto fine, come tutte le altre, e invece segna un altro venerdì nero della malattia.

Alessandro non è morto da solo: con lui sono morti altri tre suoi compagni di avventura, ricoverati nei reparti Covid dell’ospedale: una signora di 83 anni si era spenta giovedì sera. Ieri l’hanno seguita un uomo di 72 anni e uno di 79. Più Alessandro: nel giro di un’ora la sua bacheca Facebook traboccava di messaggi. Ricordi leggeri, Giostre del Saracino corse in bicicletta, sul filo di una passione sportiva che lo avrebbe portato ad essere un appassionato di Speed Down, le corse in auto a motori spenti. Un uomo che sapeva divertirsi, come solo le persone serie sanno fare.

«Non avvicinarti alla mia tomba piangendo. Non ci sono. Io non sono morto»: qualcuno gli dedica un canto Navajo, in omaggio alla sua straordinaria vitalità. Un dolore che si allarga a quello delle altre famiglie che hanno perso ieri un babbo o un nonno. Tutti tra i 72 e gli 83 anni: forse anche con l’angoscia che la vaccinazione non abbia fatta in tempo a raggiungerli.

Tutto mentre intorno il contagio continua a dare segni di dietrofront. Ieri i casi sono stati 99, tornati sia pur d’un soffio sotto quota cento. E comunque su un livello che mantiene solida la zona arancione: i casi su centomila abitanti alla fine si sono attestati a 210, ben sotto i 250 della zona rossa. Segnali di flessione, o almeno non di nuovi ricoveri immediati, arrivano dall’ospedale, un po’ come aveva notato il primario di terapia intensiva Marco Feri.

E con tutto il virus è lì, lì che non si arrende. Ci sono trenta casi nel capoluogo, ce ne sono 27 in Valdarno. Ci sono situazioni limite. Come gli otto contagi di Castel San Niccolò, per tutti Strada: quattro classi in quarantena, il sindaco per oggi ha chiuso le scuole, intanto per sanificare, poi si vedrà. Dalle aule cominciano a rialzarsi campanelle sì ma d’allarme.

Ci son quattro casi a Castiglion Fibocchi, e in un paese piccolo fanno rumore, otto a Subbiano che riaprono il nodo dell’hinterland, ancora 4 nella tormentata Castelfranco. Gli sbalzi qua e là sembrano avere ancora le impronte di quelle varianti che nella Asl aumentano solo da noi.

Ma di fondo il segnale più fragoroso resta uno: i morti. Quelli di aprile arrivano a 34, di nuovo più di due al giorno. Tra letti perennemente pieni. E una finestra dalla quale stasera non saranno scostate le tende.