In fuga sul barcone dalle persecuzioni. «Sicuro col lavoro»

Il giovane Hassan in Camerun schierato per i diritti gay

Hassan

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Arezzo, 29 giugno 2019 - «NON DEVI mai smettere di sognare e di studiare. Il mondo va veloce». Con le parole del padre nel cuore e il sole in tasca Hassan, appena sedicenne, sale su un barcone e lascia il Camerun e la sua famiglia. Quella di Hassan è la storia di molti giovani che, con coraggio, abbandonano la propria vita, costretti. Costretti, spesso, dalle regole di un mondo dai confini mentali invalicabili che non lasciano respiro. Lui, quel muro un giorno ha cercato di «abbatterlo». A scuola, in mezzo ai compagni di classe, stringendo i pugni per farsi coraggio, ha gridato tutta la sua ostilità verso l’omofobia. Ha urlato e imprecato contro le leggi che nel suo paese puniscono l’omosessualità con la galera. Contro un clima di terrore che fa tremare i polsi al solo camminare per le strade. Un gesto che non è passato inosservato, e che gli è costato caro.

All’uscita da scuola, vittima di un agguato, è stato selvaggiamente picchiato. Botte fortissime tanto da farlo finire in ospedale. Ma non sarebbe finita lì. Le ferite sarebbero guarite, ma niente avrebbe lavato via quel marchio che si era cucito addosso. Prima di ulteriori conseguenze il fratello maggiore lo mette in salvo e lo aiuta a scappare. Inizia in quel momento un lungo viaggio per fuggire dalla «giustizia» del suo paese. Un cammino gran parte del quale percorso a piedi attraverso metà del continente africano. Fino ad arrivare in Libia, nelle mani dei ribelli. Lì viene rinchiuso in carcere per oltre un anno. LUOGHI infernali «in cui ho visto la morte in faccia molte volte. Altri prigionieri, miei compagni, da lì non sono mai più usciti» racconta Hassan. Solo con l’intervento economico del padre e con l’aiuto di un ragazzo libico riesce a scappare. Intanto in Camerun non ci si dimentica di quel giovane che ha osato oltraggiare le idee del suo paese. Iniziano a perseguitare la sua famiglia che si vede costretta ad abbandonare casa e a rifugiarsi in campagna.

«Ho avuto la fortuna di una seconda vita e non voglio sprecarla. Per questo voglio impegnarmi al massimo». Dopo due giorni di viaggio in mare, su un barcone in cui erano stivati in duecento, tra uomini, donne, bambini, Hassan arriva in Sicilia. Ha inizio la sua storia italiana. «Da quell’isola cominciava la mia nuova vita, fatta di possibilità» ricorda. «Dobbiamo fare qualche sacrificio: mi ha sempre ripetuto mio padre e io ero pronto, ancora». Dalla Sicilia arriva ad Arezzo. Iniziano i corsi di italiano, Hassan sente di potercela fare. Vuole frequentare il liceo, ma al momento, ancora acerbo della lingua, non gli è permesso. «Ma non mi sono arreso e mi sono dato da fare da solo, ho cercato e trovato una scuola a Città di Castello, un centro di formazione in cui ho potuto studiare gratuitamente. All’inizio è stata dura frequentare, percorrevo ogni giorno ottanta chilometri. Ma presto prenderò una qualifica riconosciuta a livello europeo come operaio metalmeccanico».

“Dobbiamo fare sacrifici nella vita”, le parole del padre gli riecheggiano continuamente nelle orecchie. Hassan, insieme alla scuola, frequenta un tirocinio formativo, al termine del quale gli viene offerto un contratto come apprendista meccanico. «Mi trovo benissimo, ogni giorno imparo tante cose».

E’ entusiasta Hassan. Sente che quello che sta facendo è un modo per ringraziare i genitori di avergli insegnato che lo studio e la cultura possono cambiare il mondo. Del resto sembra tutto possibile per chi, appena sedicenne, si è staccato dalla propria famiglia, ha affrontato la prigionia, il mare, le incognite di paesi diversi. Arrivato in quello che lui definisce un nuovo mondo, ha fatto di tutto per seguire i suoi sogni. L’onda del Mediterraneo sulle coste italiane porta anche una parte del futuro del nostro Paese. E tra i rifugiati, che scappano dalle proprie terre, ci sono giovani coraggiosi e volenterosi di cui l’Italia può e deve essere orgogliosa.