Il gioiello torna in vetrina nella sua capitale

Dopo tre anni l’expo riprende la corsa nel distretto più importante d’Europa. I dati già sorpassano quelli del 2019, il recupero dei mercati

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di Alberto Pierini

L’importante non è partecipare ma vincere e Arezzo, città con i piedi da sempre ben piantati per terra, lo ha capito quasi prima della Juve, che pure della vittoria ad ogni costo ha fatto una fede. Ma stavolta anche partecipare ha il suo fascino. Perchè Oro Arezzo, la mostra all’ombelico del distretto orafo più importante d’Italia e d’Europa e tra i più importanti del mondo, torna in campo. Torna dopo tre anni di assenza, dal 7 al 10 maggio, per mano al gigante Ieg. Dal 2019 i buyers in arrivo da tutti i continenti e oltre trecento aziende non disegnavano l’identikit del grande evento.

Sì, un po’ è importante anche partecipare ma la vittoria non è proibita. Già il settore ha incassato i frutti di una ripartenza senza uguali: già ai dati del 2021 le esportazioni hanno superato quel 2019 che era alle colonne d’Ercole della pandemia.

Un aumento del 3,8% sulla sola gioielleria, del 23% nel complesso, per non dimenticare chi, trattando l’oro puro, ha scalato le vette nazionali del fatturato.

Oro puro che come al solito dilaga nelle situazioni di crisi, ma pagando il prezzo di seguirne gli alti e bassi, E con la gioielleria a riconquistare un pezzo alla volta tutti o quasi i suoi avamposti.

In testa Dubai, la porta di accesso al cuore e soprattutto alle tasche del Medio Oriente e dei paesi arabi. Poi gli Stati Uniti, diventati ormai il secondo mercato di riferimento, e la Turchia: resta un filo di affanno su Hong Kong, la porta dell’Estremo Oriente, lì dove anche la ripresa del Covid qualche brivido freddo lo fa correre.

Una ripartenza che passa anche da una scelta strategica: puntare buona parte delle "fiches" sul tavolo sempreverde del cosiddetto "alto di gamma". Non è tanto nella tradizione aretina, somiglia più a quella di Valenza. Il top del prodotto strizza l’occhio a quei consumatori che nè il Covid nè la guerra mandano mai in crisi. In un quadro internazionale che innesca la spirale inflattiva, immette liquidità nel mercato, solo negli Stati Uniti 1700 miliardi: con l’effetto di comprimere i salari e ridurre i margini delle imprese e il volume dei consumi. Ma aver investito sulla qualità complessiva consente di pescare tra il pubblico "high spender", il più disposto a frugarsi in tasca.

Una gioielleria che in questa cornice va a braccetto con la moda, secondo un tandem sul quale Oro Arezzo da qualche anno punta forte. Prova a ripartire da lì. L’efficacia della data della mostra è un’incognita: ricavata in un calendario in movimento, nel quale Vicenza ha aperto le danze, con risultati buoni ma che secondo diversi operatori potevano essere migliori, e Dubai ha ingranato la quinta.

Quattro padiglioni espositivi, una serie di top player, uno sbilanciamento tra i buyer soprattutto verso Stati Uniti, Medio Oriente e Sud America. Ma con occhio ai retailer italiani, per un mercato interno da non dimenticare. In un distretto dei gioielli che viaggia stabilmente oltre il miliardo di esportazioni, che ne fanno il locomotore dell’export toscano e la fetta più rilevante dei movimenti nazionali.

È come se un gioiello italiano su tre in trasferta nel mondo venisse prodotto ad Arezzo. Reggendo anche all’aumento del prezzo dell’oro. Aumento che ha un peso, fa crescere il volume del fatturato ma non sempre il valore aggiunto. Però è un distretto che è vivo e lotta insieme a noi: e che da sabato si mette in vetrina. Felice di partecipare. E con l’obiettivo non tanto segreto di vincere.