"Ho cominciato rubando la pasta a nonno Dario"

Luca Fabianelli oggi guida il pastificio di famiglia fondato ai primi del Novecento. "Sì c’è la guerra ma nelle difficoltà non ci si può piangere addosso"

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di Lucia Bigozzi

Da bambino l’idea di fabbrica era una sola: correre a mangiare la pasta fresca, rubandola dal macchinario, di nascosto al nonno Dario. A 42 anni Luca Fabianelli è "timoniere" dell’omonimo pastificio che ha superato i cento anni e da Castiglion Fiorentino "viaggia" in 70 Paesi del mondo: dalla Corea all’Australia, Emirati Arabi e States, dall’Europa alla Mongolia, fino agli atolli Turks e Caicos nell’oceano Atlantico. Quarta generazione di imprenditori, Luca è amministratore delegato e il cugino Andrea Fabianelli presidente dell’azienda costruita da Fabio Cristoforo Fabianelli che all’alba del Novecento intuì la necessità di portare nel nuovo secolo la tradizione dei maestri pastai castiglionesi con la svolta industriale.

Oggi cosa è il Pastificio?

" Un’azienda che in anni attraversati da tempeste economiche con numerosi pastifici italiani costretti a chiudere, si è ritagliata un proprio spazio. E’ un’azienda che cresce, con un fatturato di 16 milioni nel 2021, trentacinque dipendenti e lo sguardo nel futuro".

Ma nel presente c’è la guerra, come cambia la prospettiva?

"Da imprenditore ho sempre considerato le fasi di stallo o recessione come momenti complessi, talvolta demoralizzanti, ma al tempo stesso forieri di opportunità".

Clienti anche durante la crisi?

"Sì, abbiamo acquisito un altro cliente importante in America. Se nelle difficoltà ti piangi addosso sei finito. Se invece guardi al mondo con ottimismo, nonostante i pensieri che non ti fanno dormire la notte, vai avanti. Io guardo alle difficoltà come a una sfida".

L’azienda esporta l’80 per cento del prodotto nel mondo: come resiste tra rincari energetici e della logistica?

"In questa fase abbiamo deciso di vendere pasta solo a chi è disposto a riconoscere l’aumento dei costi di produzione, tra rincari della semola già a settembre scorso, energia, spedizioni e materiali per il confezionamento del prodotto. Rispetto al 2021 sono quasi raddoppiati".

Per il nuovo raccolto si prevedono impennate nei prezzi?

"Per ora è un’incognita. In generale, influirà la crisi ucraina perché quando manca l’approvvigionamento delle merci, c’è un effetto prezzi anche sul raccolto italiano e toscano. Impossibile ad oggi, fare previsioni ma le stime indicano un raccolto di qualità e quantità, sperando che il meteo non tradisca".

Con il brand "Pasta toscana" lavorate solo grano italiano e toscano "certificato" dal QR Code. Perché?

"Puntiamo su due elementi chiave che fanno la differenza e ci permettono di continuare a crescere anche in una fase complicata come l’attuale. Il primo è la qualità: grazie a un accordo con Coldiretti, acquistiamo grano coltivato solo da agricoltori italiani e toscani ai quali richiediamo criteri qualitativi rigorosi. Il secondo elemento è l’export applicato alla logistica, settore che abbiamo messo in piedi fin dagli anni ’80".

Precursori di quella che oggi è la regola per molte aziende?

"E’ così. Andrea Fabianelli è stato tra i primi a girare il mondo con la ventiquattrore a ‘caccia’ di clienti. Capì che il valore aggiunto per conquistare nuove fette di mercato era presentarsi da un importatore e dire: ti vendo la mia pasta di qualità e provvedo io a fartela arrivare direttamente in magazzino. Gli altri pastifici non lo facevano; è stata una rivoluzione che ci ha portato a consolidare una rete di spedizionieri con i quali collaboriamo da quarant’anni".

Avete rischiato un salto nel buio?

"Non fa parte della nostra filosofia aziendale. Ogni decisione è ponderata e nasce da uno studio preliminare accurato. Che sia l’investimento su un macchinario o un nuovo Paese dove esportare, operiamo in maniera molto oculata".

Clienti russi e ucraini?

"Sì, in entrambi i Paesi. In Ucraina è tutto fermo; in Russia abbiamo contatti con clienti che hanno pagato regolarmente gli ordini della pasta. Per alcuni di loro è il momento di riapprovvigionarsi ma il problema principale è la logistica, cioè come far arrivare la pasta, perché mancano i collegamenti diretti. Non c’è un calo della domanda, bensì una difficoltà nella consegna della merce. Il mattino in cui è scoppiata la guerra, avevo un camion da caricare destinato alla Russia. Non sapevo se sarebbe arrivato dal cliente ma ho deciso di farlo partire ugualmente: la pasta è stata consegnata e nei tempi concordati l’ordine è stato saldato".

Si parla di autosufficienza anche alimentare: la Valdichiana tornerà ad essere il granaio dell’Italia centrale?

"Non credo che raggiungeremo l’autosufficienza, almeno per ora, perché la richiesta di grano nel mondo è aumentata. Se fossi un agricoltore e avessi campi disponibili, oggi coltiverei grano. Ci sono aziende molto importanti che hanno scelto la Valdichiana per investire, dalle piante officinali al grano e oggi, osservare la vallata è uno spettacolo di bellezza. Non a caso sono state destinate risorse consistenti al collegamento con l’acqua di Montedoglio per irrigare i terreni".

Cosa voleva fare da grande?

"Al di là del pompiere o il soldato, fin da piccolo mi vedevo dentro l’azienda, mi piaceva portare avanti il lavoro di famiglia".

Ruba ancora la pasta fresca dal macchinario quando non la vede nessuno?

"Assolutamente sì e provo le stesse sensazioni che mi rendevano felice da bambino: il profumo è identico, un richiamo irresistibile. Anche i miei figli, Lapo e Ginevra, mi chiedono di andare in azienda a mangiare la pasta fresca e così, oggi siamo in tre davanti alla macchina, in attesa di quella bontà".