Guccini: la mia musica, il racconto. "Le mie radici su questo Appennino"

Il collegamento in videconferenza col cantautore-scrittore premiato: le mie canzoni e i miei libri nascono da uno spunto autobiografico

Guccini

Guccini

Arezzo, 21 settembre 2020 - Usare la memoria è come essere un artigiano. Sono molti gli attrezzi a disposizione, per dirla con Guido Barbieri che ieri ha condotto la giornata finale del Premio Pieve non senza le difficoltà per un forte temporale che spesso ha nascosto le parole e ha persino interrotto il collegamento, proprio quando in diretta da Pavana c’era Francesco Guccini.

A lui è andato il Premio Città del diario, quel premio che ogni anno l’Archivio affida ad artisti, cantanti, scrittori, registi che nel loro lavoro «usano gli arnesi, gli attrezzi della memoria individuale e collettiva». Proprio quello che Guccini ha fatto con canzoni, poesie, ricordi, scritti e romanzi. Sul grande schermo il cantautore, 80 anni, due dischi nuovi in uscita dove le sue più belle canzoni sono cantate da tantissimi colleghi, un libro finalista al Premio Campiello, nella sua camicia a quadri bianca e rossa saluta tutti da Pavana.

A Pieve c’era già stato, ventidue anni fa, grazie alla sua amicizia con Tutino e alla condivisione dello stesso ideale, conservare, tramandare, raccontare la memoria, le origini, le radici, i personaggi di paese e una vita che rischia di scomparire, anzi che non c’è più.

«Ogni canzone che scrivo, ogni libro attinge naturalmente al mio bagaglio personale, al cammino che ho fatto - spiega Guccini - e il mio evidentemente è questo Appennino tosco emiliano dove c’era il mulino di mio nonno, gli amici, le persone conosciute non ci sono più. Il mio ultimo romanzo ‘Tralummescuro’ racconta il momento in cui il giorno svanisce e arriva la notte, racconta un mondo di contadini che sta scomparendo, che sta morendo.

E’ il momento in cui bisogna dare alle persone cose da ricordare e da riascoltare, che siano storie, paesi o persone». Strumenti per una memoria collettiva, per una memoria che Guccini ha fornito cantando canzoni come Amerigo, che appare nella foto di famiglia nella copertina dell’album Radici, o Primavera di Praga o La Locomotiva o Canzone per Silvia. «Amerigo era il mio prozio emigrato in America - racconta - un personaggio che mi ha sempre affascinato, che ha inseguito il sogno americano. Come mi aveva colpito la Primavera di Praga o la storia di Silvia Baraldini.

Tutti motivi per raccontare, non fa differenza se con una canzone o con una pagina scritta, le storie si possono raccontare come facevano una volta le canzoni romane, sono sempre storie solo che le accompagni con la chitarra, ma la scrittura è sempre in prosa». Se c’è un linguaggio che cambia, invece, è quello del dialetto. Per Barbieri che lo incalza, anche questo è un esercizio di memoria salvata.

E per Guccini è come un invito a nozze: «Io dalla nascita parlo tre lingue, l’italiano, il pavanese di mio padre e il modenese di mia madre. Un materiale linguistico enorme, è come per un pittore avere una enorme tavolozza a disposizione con tanti colori diversi da usare, dentro le parole tanti significati diversi, tutte le lingue sono importanti».

Ma c’è un premio da consegnare. Il premio che l’Archivio dei diari consegna ai suoi ospiti, un quaderno dalle pagine bianche. «Non vedo niente» pare non capire Guccini davanti al computer, ma l’invito è chiaro: «E’ un diario che ancora non è stato scritto - spiega Guido Barbieri - un regalo che le facciano perché lei scriva su queste pagine bianche, per lei e per noi»