Gratien, giallo all'ultimo respiro: arriva la cassazione, una condanna e finirà in carcere

Mercoledì il terzo grado di giudizio dopo due sentenze che lo hanno detto colpevole: sentenza di 27 anni, se confermata dovrà lasciare il convento per un penitenziario

Padre Graziano

Padre Graziano

Arezzo, 18 febbraio 2019 - E’ l'ultimo giro di giostra per Padre Graziano. O la spunta stavolta, davanti alla Cassazione, oppure va dentro. Non nel comodo rifugio del convento dei premostratensi di Roma, il suo ordine che continua ad accoglierlo nonostante la doppia condanna per l’omicidio di Guerrina Piscaglia, ma in un penitenziario della repubblica assai meno confortevole. Un «lusso», quello della cella, che il frate più sospettato d’Italia ha già sperimentato per più di sei mesi prima di affrontare i processi dagli arresti domiciliari col braccialetto, anzi la cavigliera, elettronico.

Mercoledì sera sapremo, probabimente intorno alle 20, l’ora in cui tradizionalmente arrivano le sentenze della suprema corte. Gli scenari sono tre. Conferma della pena a 27 anni per omicidio volontario e occultamento di cadavere, inflitta sia in in primo grado, dall’assise di Arezzo, che in appello, annullamento della sentenza con rinvio a una nuova sezione della corte d’appello di Firenze, oppure annullamento senza rinvio, la formula d’assoluzione della cassazione che monderebbe Padre Graziano da tutti i suoi reati, rimandandolo libero a dire messa fra i suoi confratelli.

La salita che la difesa (l’avvocato Riziero Angeletti, affiancato dal collega Francesco Zacheo e dal consulente legale Sergio Novani) deve affrontare è aspra come una scalata di sesto grado di difficoltà superiore. Si tratta di rimettere in discussione una doppia conforme, come si dice in gergo, cioè una sentenza che è passata indenne sia per il primo grado che per l’appello, e l’esperienza insegna che in questi casi smontare le accuse è particolarmente complicato.

E poi in Cassazione non si va per discutere nel merito ma solo per questioni di diritto, cioè per qualche errore commesso eventuamente dalle corti di merito e ritenuto censurabile dai giudici del Palazzaccio. Angeletti & C., a dire il vero, qualche appiglio lo avrebbero trovato, come quando, dicono loro, il verdetto d’appello sconfina dai fatti nelle ipotesi non riscontrate. Ad esempio, i giudici si sono spinti a scrivere che Guerrina, quel fatale primo maggio del 2014, fu strozzata a mani nude dal frate.

Oppure il fatto che la corte d’appello dia per scontato nelle motivazioni che i due fossero amanti. Illazioni, ribatte la difesa: non c’è alcuna prova del modo in cui avvenne il delitto, ammesso che delitto ci sia stato (il cadavere, è bene ricordarlo, non è mai stato ritrovato) nè che fra Padre Graziano e la sua parrocchiana ci siano stati rapporti sessuali.

E ci sono poi i motivi di diritto veri e propri, come i testi sentiti in incidente probatorio e mai riascoltati in aula o gli sms acquisiti dal telefono senza che venisse sequestrato. Il vero nodo, però, è quello del cosiddetto Teorema Dioni, dal nome del Pm che ha sostenuto l’accusa sia davanti all’assise che in appello: gli sms che nel pomeriggio della scomparsa partono dal cellulare di Guerrina diretti a un sacerdote che solo Padre Graziano conosceva.

Come a dire che lui aveva il telefono e come poteva averlo se non sottraendolo alla vittima? E’ la firma sul delitto, dice Dioni, controfirmato dalla misteriosa figura di Zio Francesco che entra nell’inchiesta solo quando il frate viene indagato, a settembre 2014. Che ne pensa la Cassazione?