Giù dal terzo piano, muore a otto anni: era il figlio di Bacis, ex dell'Arezzo

Un urlo nella notte in centro: forse quello del padre.Il bimbo giocava in camera. Allertato il Pegaso ma il piccolo non ce la fa. Il ricordo del suo maestro di karate

Jacopo Bacis con Enzo Bertocci e i suoi maestri di karate

Jacopo Bacis con Enzo Bertocci e i suoi maestri di karate

Arezzo, 17 maggio 2020 - È morto a otto anni, è morto nel terribile schianto dopo una caduta dal terzo piano, nel cuore del centro storico, tra le antiche mura dello scrigno più prezioso di Arezzo. E’ morto con un nome famoso sulle spalle, perchè Jacopo era il figlio più piccolo di Michele Bacis, calciatore dell’Arezzo in serie B e poi allenatore della squadra amaranto negli anni dell’inferno in serie D.

A tarda ora le notizie sono ancora frammentarie, perchè la tragedia è avvenuta quando era già piena notte, intorno alle 22. Non si sa dunque perchè il ragazzino sia precipitato. Era solo in camera sua a giocare, con i familiari nelle altre stanze. Nessuno ha visto. Di sicuro c’è solo il tonfo sordo sul selciato, sentito anche dai vicini di casa, in vicolo della Dea, una stradina stretta stretta incassata fra via Cesalpino e via Montetini, poco sotto Palazzo Cavallo.

Immediato l’allarme al 118, che ha subito mandato un’ambulanza. Una caduta nel buio, così come scuro, quanto la notte che incombe, si presenta il vicolo della Dea ai primi curiosi e ai primi giornalisti che accorrono. L’ambulanza e la polizia, intervenuti sul posto, se ne sono già andate.

L’ambulanza con il suo carico, il bambino (frequentava la terza elementare al Convitto) agonizzante che i medici provano disperatamente a rianimare lungo la strada verso l’ospedale. Niente da fare. Quando il mezzo di soccorso arriva al San Donato il ragazzino è già allo stremo, forse già morto, forse morto prima ancora dei tentativi dei soccorritori.

Il Pegaso dell’elisoccorso regionale, che era già stato attivato per una corsa disperata verso Firenze spegne i motori. Le pale si fermano mestamente: non c’è più niente da fare, inutile persino decollare. Fin troppo facile immaginare la disperazione dei genitori, in particolare del padre Michele, di cui appena qualche settimana fa La Nazione aveva raccontato un altro dramma.

Lui, originario di Bergamo, 40 anni appena, toccato negli affetti più cari dal contagio che ha visto come epicentro proprio la città lombarda. C’era anche mio zio, aveva confidato, tra le bare portate via dai camion dell’esercito, immagini che avevano commosso l’Italia.

Pareva già terribile, ma Michele, difensore di vaglia, un punto di forza dell’Arezzo nella stagione di Marino, non sapeva che l’attendeva a breve qualcosa di persino più impensabile e inimmaginabile, come la morte di un figlio. Perdipiù in circostanze così assurde come un volo dall’alto, in un palazzo della città antica, nel cuore della notte.

A mezzanotte nel vicolo della Dea ormai sgombro e buio come la tragedia che si è appena dipanata, restano soltanto un paio di telecamere, qualche fotografo e i cronisti. Capire come sia andata davvero, in quali circostanze il ragazzino sia volato giù è ancora impossibile.

Ci vorranno ore e pazienza per ricostruire, per mettere insieme le testimonianza. In strada c’è solo un vicino che racconta: ha sentito un urlo terribile in contemporanea con la caduta. Forse era il padre che si era accorto di quanto stava sucedendo. Un grido straziato e un povero corpicino sulla strada.

Su Facebook il suo maestro di karate Enzo Bertocci ne fa un ricordo commosso, riportandone una delle sue immagini dopo una gara sportiva.

"Caro Jacopo, ti ho cercato ieri sera lassù, fra una stella e l’altra. E ad un certo punto mi è sembrato di vederti: un puntino vestito di bianco, figuretta leggera e piena di energia. Ieri parlavo di te e mi è venuto in mente Peter Pan. Forse non te l’ho mai detto. Ma ci assomigli molto. E allora ho capito. Ho capito tutto: Hai raggiunto l’isola che non c’è. Quel meraviglioso luogo dove solo i bambini possono andare e dove a noi grandi è proibito entrare. Ti immagino felice, libero, libero di volare e di correre così come non hai potuto fare in questi due mesi. Ti immagino che fai vedere agli altri bambini le tue mosse migliori. So che non farai sfigurare il Maestro Enzo e il Maestro Roberto. So anche che ci verrai a trovare, volando leggero sulle nostre anime, regalandoci ancora qualche risata e molti sorrisi perché non sei tipo da lacrime. Buon viaggio, piccolo eterno fanciullo, buon viaggio Jacopo.