Fiera col freno nella città estranea

Bene i banchi, sono 250 al Prato Pochi affari, centro tagliato fuori

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di Alberto Pierini

EZZO

La villeggiatura della Fiera. Perfino gradevole al venticello leggero del Prato, che nel primo giorno dell’edizione di luglio dà il meglio di sè: panchine, ombra a volontà, verde nel quale tanti espositori piazzano perfino la sdraio. Ma oltre la villeggiatura c’è poco. L’afflusso è modesto, anche se nel corso del pomeriggio qualche numero in più si registra. E gli affari sono al contagocce. Luglio, beninteso, è da anni un’edizione complicata: sulla quale ha sempre pesato la rivalità delle spiagge senza ancora richiamare quanti in provincia venivano in vacanza, ben nascosti tra gli agriturismi. Già agosto in genere va meglio, proprio riuscendo a dirottare un po’ di turisti in città.

Ma parliamo del precovid, quando niente era come ora. E ora? Un fil rouge resta, un’edizione di luglio con il freno tirato. Anche se resta la speranza che la domenica possa aiutare a cambiare marcia.

Non va male la risposta degli espositori: sono in 250 sul tetto del Prato. Esattamente come nel luglio di un anno fa: ma nel mezzo c’è stata l’epidemia ma anche una progressiva emorragia di operatori. E quindi assestarsi su quel numero è un segno di indiscutibile salute. Forse annunciato.

Tante Fiere sono ripartite ma non tutte: in giro non c’è il solito imbarazzo della scelta. E l’edizione di giugno era andata tutto sommato benino, pur pagando la location non ideale e una promozione, ai primi giorni di riapertura dopo il lockdown ancora a scartamento ridotto.

Tanti gli spuntisti, in crescita il settore artigiano, che forse nel parco della Rimembranza trova uno sfogo maggiore. Resta quasi al palo la risposta turistica. I primi gruppetti sono stati avvistati: qualche tedesco, qualche olandese e perfino qualche russo. Le prime avvisaglie di ritorno, da prendere come le rondini di febbraio: non particolarmente generose sul piano degli acquisti ma non si può avere tutto.

Resta la sensazione palpabile che la Fiera al Prato sia un corpo estraneo alla città e soprattutto al centro. I locali di riferimento dell’Antiquaria viaggiano ancora con diversi tavoli vuoti, quando in genere misurano le code, perfino d’estate. San Francesco come previsto resta praticamente chiusa, con pochissime eccezioni, e aspetta la campanella della movida per mettersi in azione. Comunque non prima delle 17.

E così tanti di quei locali che in genere al sabato prendevano personale per resistere all’assalto. I negozi fanno gli orari di sempre: fatichi a trovare chi proceda a orario continuato, perfino nell’asse centrale del Corso o in via Cavour. E oggi è attesa la prova del fuoco. Perché è la domenica di apertura dei negozi e la sensazione è che molti resteranno chiusi, come se la Fiera non ci fosse. Più la sofferenza degli antiquari: lo vedi in maniera plastica in piazza Grande, perfino a pranzo una distesa di tavoli e divani, magari semivuoti, che ne confermano la nuova vocazione ma perdono per strada quella legata alla Fiera.

Oggi non arrivano da lì le proteste: ma dall’autunno e dall’inverno forse capiranno cosa in questo momento la città sta perdendo. Come cominciano ad avvertirlo quei commercianti, beninteso l’assoluta minoranza, che magari in passato non avevano apprezzato appieno il condominio con i banchi. Già ricreato in altre realtà, come Lucca, dove è tornata esattamente nel solito percorso. Qui per ora il tavolo della sicurezza ha detto no, malgrado ci fossero l’assenso del sindaco e il lavoro fatto dagli uffici sulla nuova mappa. E il rischio è che tutto resti al Prato fino a settembre compreso. Di visitabile c’è casa Bruschi, tra i pochi musei ad aver riaperto i battenti: e se l’aura del fondatore ci suggerisse la strada giusta?