Droga, tutte le strade portano a Saione: da lì i nigeriani spedivano i proventi in patria

All'interrogatorio di garanzia tutti gli arrestati scelgono la linea del silenzio Ci sono altri cinque indagati. Una segnalazione da via Romana alle radici dell'inchiesta

Arresti in via Romana

Arresti in via Romana

Arezzo, 12 ottobre 2018 - E’ come la storia delle strade che notoriamente finiscono tutte a Roma. Alla stessa maniera, anche col microcrimine, si finisce sempre a Saione, in particolare nel triangolo che ha per lati principali via Piave e via Trasimeno, una piccola casbah, la stessa zona nella quale finì la maxi- rissa della domenica più nera del quartiere, alla vigilia di Ferragosto 2017, quella da cui i carabinieri sono partiti per dipanare la trama grazie alla quale sono finiti in carcere i 9 nigeriani del maxi-blitz antispaccio di lunedì.

Bene, i capi di questa organizzazione degli ultimi arrivati sul mercato della droga (sono tutti richiedenti asilo in attesa di definizione del loro status) i proventi del traffico li rispedivano in patria col Postepay da una tabaccheria di Indicatore, dove viveva il più scafato di tutti, ma anche e soprattutto dai due negozi etnici di via Piave e di via Trasimeno. Non che c’entrino niente i proprietari, che infatti non sono accusati di alcunchè, ma vuol dire che intorno a quel pezzo di Saione continuano a gravitare personaggi dai contorni equivoci.

Del transito del denaro dello spaccio verso la Nigeria lo scrive, sulla scorta delle indagini svolte dal nucleo investigativo dei carabinieri, il Gip Piergiorgio Ponticelli nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato in galera i nove. Ci resteranno ancora perchè all’esito degli interrogatori di garanzia, svoltisi ieri nel carcere di San Benedetto e nei quali tutti gli arrestati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, nessuno dei difensori (la maggior parte degli accusati si è rivolta all’avvocato Alessandro Mori) si è azzardato a chiedere l’attenuazione delle misure cautelari in domiciliari o obblighi di firma.

L’inchiesta, come ricostruisce Ponticelli, parte dalla classica segnalazione venuta da un’altra zona critica, via Romana: lì si spaccia a cielo aperto. Si muovono i carabinieri, il Pm Chiara Pistolesi iscrive i primi indagati a dicembre 2017. Poi si mette in moto il classico meccanismo a macchia d’olio: gli appostamenti e i pedinamenti portano all’individuazione dei pusher, i loro telefoni finiscono sotto controllo a gennaio e tramite quelli gli uomini del nucleo investigativo captano le chiamate con gli ordinativi degli assuntori.

A loro volta questi ultimi, messi sotto pressione, riconoscono in fotografia gli spacciatori, principalmente di eroina. Le prove, insomma, diventano abbastanza solide per convincere il Gip a firmare le ordinanze di custodia cautelare: il rischio di reiterazione del reato è chiaro Per essere gli ultimi arrivati, i nigeriani avevano già un’organizzazione piuttosto raffinata: in tre, i capataz e la donna di uno di loro, raccoglievano gli ordini telefonici, gli altri, i «galoppini», consegnavano la droga nei luoghi stabiliti: davanti ai negozi, ai supermercati e persino a una scuola di Indicatore.

Gli indagati sono 13 in tutto: insieme ai 9 finiti in manette ci sono altri 3 nigeriani cui viene contestato il quinto comma della legge antidroga, la lieve entità che non vale la galera, e un tossico italiano accusato di favoreggiamento. Mise in allerta i suoi pusher di fiducia: attenti, i carabinieri vi sono alle calcagna. Non è bastato ad evitare il maxi-blitz.