Dramma Bekaert: licenziati tutti i dipendenti

Al termine del confronto aperto al tavolo ministeriale, l’azienda non ha accettato le richieste di prorogare la cassa integrazione

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di Roberto Bertoncini

Una lunga serata di trattative, conclusasi nella maniera più dolorosa. Al termine del confronto aperto al tavolo ministeriale, Bekaert non ha accettato le richieste da parte di istituzioni e sindacati di prorogare ulteriormente la cassa integrazione fino a giugno per i 113 lavoratori dello stabilimento valdarnese, definendone così il loro licenziamento. Una posizione netta quella da parte dell’azienda verso la quale ieri il presidente della Regione Eugenio Giani ha puntato il dito, rilanciando al contempo la proposta di favorire la reindustrializzazione del sito valdarnese attraverso una serie di misure: "Il mantenimento per 12 mesi degli incentivi per la ricollocazione dei lavoratori; dell’advisor per studiare eventuali nuove proposte di acquisto; l’attivazione della verifica delle condizioni ambientali e di sicurezza dell’immobile a Figline" con Regione e Governo che assicurano "la disponibilità di Invitalia e di Sici a sostenere nuovi investitori anche entrando nel capitale sociale di nuove realtà produttive" senza perdere di vista la fattibilità dei progetti legati alla filiera dell’acciaio di Piombino. Nel frattempo rimane il colpo duro subito dai lavoratori, che durante la giornata si sono ritrovati di fronte alla fabbrica di via Petrarca. I primi a riunirsi sono stati quelli della Fiom, arrivati ai cancelli la mattina. "Non avrei mai creduto di finire così – il commento di Mauro Bagiardi, sangiovannese di 58 anni, da 36 all’interno dell’azienda – Se ripenso che quel 22 giugno 2018 quando ci hanno licenziato c’erano pure delle persone a fare gli straordinari per evadere la mole di ordini che avevamo; ci hanno lasciato per una mera questione di prezzo in mezzo a una strada. Quello che mi dispiace di più è che siamo stati abbandonati dalla politica: abbiamo sentito solo promesse. Nessuno ha fatto mai veramente niente per la reindustrializzazione di un polo come questo, collocato in una posizione ottima in mezzo a due caselli autostradali nel raggio di 20 chilometri. Poteva essere un sito ottimo per far ripartire qualcosa e invece siamo finiti così. È un giorno triste per tutti".

Una posizione condivisa anche da un altro lavoratore originario di San Giovanni, Marcello Gostinelli. "Ci sono delle responsabilità da parte dell’azienda, certo, ma anche di chi governa questo Paese e il territorio. C’è una responsabilità oggettiva, quella del 24 febbraio scorso quando la Regione Toscana, insieme a Fim e Uilm, ha firmato la condanna di questo stabilimento e nessuno dei sindaci o consiglieri comunali locali ha espresso una parola contraria. La rabbia più grossa è questa, basta dare colpe solo a Bekaert, qui in tre anni nessuno è stato in grado di fare qualcosa per i lavoratori che sono stati in prima linea fin dal primo giorno, mettendosi in gioco anche con le proprie risorse economiche. Ora qui rimane una bomba ecologica da bonificare, che con tutta probabilità ricadrà sulle spalle di noi cittadini e non è giusto".

Nel tardo pomeriggio anche i lavoratori tesserati Fim Cisl si sono ritrovati di fronte al piazzale antistante lo stabilimento figlinese per fare il punto su quanto emerso durante la videoconferenza con il Mise. "Nell’ultimo periodo chi doveva occuparsi di portare avanti la reindustrializzazione, cioè il ministero, non se n’è occupato – ha dichiarato Gino Turrini, lavoratore della fabbrica da 32 anni, residente a Montevarchi – e negli ultimi due anni e mezzo è successo di tutto. A 54 anni l’obiettivo è quello cercare di inserirsi il più presto possibile nel mondo del lavoro, a questa età è importantissimo".