"Don Claudio sapeva del furto dei quadri": l'ordinanza del Gip, così lui si difende

Prima della perquisizione l'antiquario va dal parroco e gli fa capire che tre opere sono trafugate. Nascoste nel furgoncino della chiesa. Ma con la prima opera ricevette un certificato

Don Claudio Brandi

Don Claudio Brandi

Arezzo, 12 gennaio 2018 - Sapeva della provenienza illecita dei quadri antichi che aveva in canonica. Glielo aveva fatto capire lo stesso antiquario che glieli aveva venduti. E lui allora corse a nasconderli nel furgoncino della parrocchia.

Eccola la storia di Don Paolo Brandi, parroco della Collegiata di Montevarchi e delle quattro opere d’arte seicentesche sparite dallo studio dell’avvocato Paolo Fiori di Città di Castello e poi ritrovate nella perquisizione al sacerdote (una) o da lui restituite (tre) quando il clima cominciò a farsi pesante e la pressione dei carabinieri insistente, eccola per come la riassume il Gip del tribunale di Perugia Valerio D’Andria nell’ordinanza cautelare a carico dell’antiquario Gianfranco Verdi (ai domiciliari) e dei due uomini di mano di cui si servì per il furto, Roberto Cergnai e Michele Frau (sottoposti all’obbligo di dimora), entrambi «tossici», entrambi con precedenti penali, in particolare per furto.

Cergnai addirittura era uscito da pochi mesi dal carcere di Sollicciano. La premessa è nota: il quadro che Fiori affida a Verdi in conto vendita. A seguire, nel maggio 2017, il furto degli altri tre. Poi, come riassume il Gip, il contatto con Don Claudio cui viene offerto di acquistarli tutti e quattro, a 2 mila euro i tre più piccoli, al doppio il più grande. Quindi 10 mila euro in totale. L’affare si fa e in luglio l’antiquario si presenta con i suoi uomini di mano, Cergnai e Frau, nel cortile interno della canonica per consegnare le opere.

Finirebbe lì, forse, se nel frattempo l’avvocato Fiori non avesse presentato ai carabinieri una duplice denuncia per appropriazione indebita del quadro in conto vendita e per furto degli altri spariti dal suo studio. Verdi finisce nel mirino, subisce una perquisizione, gli mettono il telefono sotto controllo. Agli uomini dell’Arma arriva anche una soffiata che conferma la bontà della pista.

Finché fra la fine di ottobre e i primi di novembre non si giunge alla seconda perquisizione, stavolta nella canonica in cui Don Claudio vive, con ritrovamento del primo dipinto, quello dell’appropriazione indebita. Il sacerdote si inquieta e il 4 novembre chiama Verdi per informarlo di quanto è successo. Il 14 viene interrogato dai carabinieri valdarnesi. Quel che segue nell’ordinanza del Gip D’Andria non è virgolettato ma pare un riassunto di quanto il sacerdote dice a verbale.

Comunque sia, rimette in ordine i fatti. In ottobre, dunque, prima della perquisizione, Don Claudio riceve una visita da parte dell’antiquario che gli fa capire: tre dei quadri sono rubati, è meglio farli sparire. E infatti il sacerdote li occulta nel furgoncino della parrocchia. Poi, compresa la gravità di quanto sta succedendo, ricontatta i carabinieri e consegna le ultime tre opere sparite dallo studio Fiori.

Procede anche all’identificazione di Frau e Cergnai: sì, sono loro - spiega dinanzi alle foto - che hanno provveduto alla consegna. E’ ricettazione? Il Gip perugino non lo scrive, non spetta a lui che è competente solo per il furto. La valutazione spetta dunque al Pm aretino Marco Dioni che segue l’altra parte delle indagini. Di certo la ricettazione è reato doloso che prevede la consapevolezza della provenienza furtiva di quanto acquistato.

E qui Verdi sembrerebbe aver fatto capire al parroco che tale era la situazione di tre dei quadri. Don Claudio, invece, si difende con forza per il quarto, quello del conto vendita. Verdi, avrebbe detto nell’interrogatorio secondo fonti difensive, mi consegnò un certificato secondo il quale era lui proprietario dell’opera. Il resto sta al prosieguo alle indagini. E in particolare alle intercettazioni, che paiono particolarmente pepate.