Detriti all'arsenico nascosti sotto le villette: la scoperta dell'antimafia

Monta l’inchiesta sui Lerose, i titolari dell’impianto di Levane che lavorava gli scarti del distretto del cuoio. Il materiale di risulta è finito in una lottizzazione a Bucine

Il Pm Giulio Monferini

Il Pm Giulio Monferini

Arezzo, 24 agosto 2021 - Ci mancavano solo i muri, anzi le case, all’arsenico nella clamorosa inchiesta sulle infitrazioni di Ndrangheta nella lavorazione degli scarti di pelletteria che ad aprile aveva fragorosamente coinvolto, insieme a personaggi eccellenti della politica regionale, anche la famiglia calabrese dei Lerose, che gestisce l’impianto di Levane (la parte del paese nel comune di Bucine) in cui appunto venivano trattati i residui del distretto del cuoio di Santa Croce, oltre al materiale di risulta di alcune grandi aziende aretine dell’oro.

La storia la ricorderanno in molti: il padre Francesco Lerose, la moglie Anna Maria Faragò e il figlio Manuel, poco più che ventenne, tutti arrestati (il primo in carcere, gli altri due ai domiciliari) per i reati ambientali e anche se non venne contestata l’associazione mafiosa, il sospetto era quello di una contiguità, tramite il cugino Gaetano, con la cosca calabrese dei Grande Aracri di Cutro, una delle famiglie più potenti della Ndrangheta, ormai saldamente impiantata al nord, soprattutto in Emilia.

Dopo i fuochi d’artificio di aprile, l’inchiesta della Dda fiorentina è andata avanti in silenzio, anche con la consulenza tecnica affidata dal Pm Giulio Monferini (nella foto), sulla destinazione finale del materiale riciclato che usciva dagli impianti dei Lerose, non solo a Levane ma anche a Pontedera.

Ebbene, adesso trapelano i primi risultati, per quanto ancora informali, e i risultati sono inquietanti: dal cantiere Tozzi di Bucine (stavolta nel capoluogo del comune e non a Levane), che era stato oggetto di prelievi dei carabinieri forestali nei mesi scorsi perchè lì era finito parte del materiale di risulta dell’impianto, emergono tracce di arsenico ben oltre i limiti prevista dalla legge.

Insomma, il business dei Lerose a Levane non produceva solo keu, cioè lo scarto della lavorazione di pellami col quale sono state costruite alcune strade toscane, compresa la statale 429, ma anche altri materiali inquinanti, destinati pure all’edilizia.

Del resto, in un filone accessorio dell’inchiesta principale, condotto dai carabinieri forestali aretini, alla famiglia calabrese era stata contestata la realizzazione di un’intera collina, sopra l’impianto di Levane, con forte presenza di scarti. Nei prossimi giorni, i risultati della consulenza saranno trasmessi dalla Dda ai Comuni interessati per l’avvio di eventuali bonifiche.

Il sindaco Nicola Benini dice non di saperne ancora niente e preferisce non commentare. Il terreno su cui è in via di realizzazione la lottizzazione di villette del cantiere Tozzi è privato. Si vedrà presto chi dovrà effettuare la bonifica.