Delitto, i protagonisti: "Giacomo taciturno, mai violento". "Raffaele un gran lavoratore"

La vittima e l'assassino nel racconto di amici, colleghi, vicini. Il sindaco di Lucignano: "Una tragedia impensabile, peccato non aver colto il disagio"

Raffaele e Giacomo Ciriello

Raffaele e Giacomo Ciriello

Arezzo, 28 febbraio 2017 - «Lasciatemi in pace, non voglio parlare, è già stato detto troppo», sono le uniche parole di Katia De Maria, madre di Giacomo Ciriello. La donna è sconvolta a poche ore dalla tragedia di Lucignano, dove il figlio ha ucciso con una fucilata l’ex marito. La donna vive a Monte San Savino e lavora in una ditta di confezioni di Foiano, dove aveva abitato in precedenza.

«Giacomo non è assolutamente un violento, lo conosco da 18 anni», racconta un’amica del ragazzo che preferisce restare anonima: «È sempre stato un tipo taciturno e anzi qualche volta proprio per questo atteggiamento è finito nel mirino di qualche bullo».

Gli amici non si capacitano di come abbia potuto trasformarsi nell’omicida del padre. «Non era sicuramente un ragazzo a rischio dispersione scolastica – ricorda la preside della scuola media di Lucignano Nicoletta Bellugi – anzi ho alla mente una persona precisa e attenta agli studi».

Giacomo Ciriello aveva preso il diploma delle medie a Lucignano poi aveva iniziato a frequentare Geometri, due anni con promozioni fisse a giugno per poi iscriversi al liceo scientifico, ma dopo un paio di mesi aveva preferito lasciare. Ultimamente dava una mano all’attività del padre, che faceva il fabbro nell’officina sotto casa.

E il babbo, la vittima di questo delitto? «Era un granlavoratore, capace, socievole e onesto». Lo descrive così uno dei suoi ex colleghi della fabbrica Piesse, la Pizzarotti di Parma con sede alla Pieve Vecchia di Lucignano dove Raffaele aveva mosso i primi passi come fabbro. «Era entrato al lavoro poco più che ventenne e agli inizi degli anni ’90 faceva l’aiutante dei fabbri addetti alla trasformazione delle cassaforme per i getti in cemento armato».

Pochi anni più tardi aveva deciso di mettersi in proprio dando vita alla ditta R.C.I., sotto casa. Era nato in Campania, nella provincia di Avellino, ma fin da ragazzo si era trasferito con la famiglia in Valdichiana. Qui si era sposato e qui era nato Giacomo. Poi il matrimonio era naufragato ed era finito a suon di carte bollate in tribunale.

Anche il sindaco Roberta Casini lo descrive come «un artigiano bravo e capace di cui non si sentiva parlare a sproposito in paese». Quanto al delitto il primo cittadino esprime profonda vicinanza alla famiglia, «è una triste tragedia familiare consumatasi tra le mure domestiche».

«Queste vicende non capitano a caso e come società occorre domandarsi il perché. Bisogna essere vigili per notare i campanelli d’allarme. Forse in questo particolare caso c’era un disagio non capito o sottovaluto che è esploso nel peggiore dei modi».  

Tra le passioni di Raffaele c’era la caccia. Per questo teneva in casa quella doppietta calibro 12 con la quale sarebbe stat ucciso

«Non ho sentito nemmeno lo sparo – dichiara la vicina di casa dei Ciriello – avevo visto Raffaele giovedì scorso, ci eravamo scambiati un saluto come sempre». «Qua un tempo eravamo tutti molto uniti – racconta un abitante della zona – ci davamo una mano nel lavoro dei campi, adesso pur essendo vicini ognuno fa la sua vita, non c’è il senso della comunità».

di Laura Lucente e Massimo Pucci