"Il fatto non sussiste": Crac Etruria, assolti i vip a processo, condannato solo Rigotti

Udienza lampo e senza repliche, immediata la lettura della sentenza. Ed è un'assoluzione con formula piena. Sei anni al finanziere trentino

La lettura della sentenza

La lettura della sentenza

Arezzo, 1 ottobre 2021 -  Un colpo di scena sul traguardo del crac Etruria, il processo più importante tra quelli del filone legato all'istituto di credito che non c'è più. Tutti gli imputati, tra cui vip e nomi forti della vita pubblca aretina e non solo, sono stati assolti. E assolti con formula piena, perché il fatto non sussiste. L'unica condanna è quella caduta addosso ad Alberto Rigotti, la cui pena è stata fissata in sei anni.

E' la sentenza più clamorosa degli ultimi decenni, quella che mette quasi la parola fine al crac Banca Etruria (anche se in realtà resta un altro filone da chiudere), quella che chiude un processo monstre durato più di due anni, con ventiquattro imputati (ma adesso ce n’era uno in meno per la morte in estate di Enrico Fazzini), quella nella quale era in ballo una richiesta di pena dei Pm per ben 64 anni, a suggello di uno dei cortocircuiti politico-mediatico-istituzionali più rumorosi degli anni 2000, arriverà di buon mattino.

Dopo le repliche di procura e difensori (è già annunciato che non ce ne saranno), la camera di consiglio del tribunale, presieduto da Gianni Fruganti, al suo ultimo grande verdetto prima della pensione, piazza una sorta di blitz: la lettura dela sentenza, quella che erra destinata a far tremare per pochi, pesantissimi minuti, un plotoncino di Vip, è arrivata ancora prima delle 10, in un’udienza che è iniziata alle 9,30,  e dopo pochi minuti ha prodotto la sua verità. Ventidue assolti e un condannato. E tutto senza particolari misure di sicurezza: i tempi delle grandi proteste degli azzerati sono ormai lontani. Il collegio dei tre giudici ha avuto un’estate intera per confrontarsi su un processo che pure è stato lungo e complesso. Ora i giochi sono pressochè fatti. E la linea dell'accusa ne esce battuta. Quella linea costruita dai  Pm Julia Maggiore e Angela Masiello, che per mesi e mesi, insieme al collega Andrea Claudiani, ormai trasferito a Perugia, e sotto la regia discreta del procuratore Roberto Rossi, hanno martellato sui casi più scioccanti di presunta bancarotta fraudolenta: dal finanziamento allo Yacht Etruria, che ancora arrugginisce nel porto di Civitavecchia, al prestito Sacci (la più grossa delle sofferenze della fu Bpel) e alla San Carlo Borromeo, il resort del guru Armando Verdiglione

Hanno avuto ragion su tutta la linea, o quasi, gli avvocati, secondo i quali in questo immenso buco economico non c’è stato reato. La richiesta di pena più alta, ricordiamo, nella requisitoria di maggio era stata proprio quella per il discusso finanziere trentino Alberto Rigotti, uno di quelli che rischia il carcere (valeva per tutti quelli con richieste di condanna sopra i tre anni): sei anni e mezzo. E questa è l'unica richiesta che la camera di consiglio ha accettato quasi in toto, con una sentenza dicevamo di sei anni.

Nella Top List (si fa per dire) c'erano l'ex presidente dell'ultima Cda della banca Lorenzo Rosi, il dirigente Umberto Baiocchi Di Silvestri e l’ex vicepresidente Giorgio Guerrini (richieste di 5 anni e 4 mesi ciascuno) cui si imputava tra l’altro l’affaire Yacht, da solo 25 milioni di perdite, l’altro ex vicepresidente Giovanni Inghirami, dell’omonima dinasty dell’abbigliamento e non solo (4 anni e 9 mesi), Augusto Federici (4 anni), anche lui ex consigliere, nonchè amministratore delegato di Sacci, che a Etruria ha lasciato un buco da 60 milioni, e l’ultimo presidente Lorenzo Rosi (3 anni e 9 mesi)sostituito dai commissari di Bankitalia nel drammatico Cda dell’11 febbraio 2015.

Si andava avanti ancora per molti nomi, a rischio di diventare noiosi. Basterà ricordare la situazione di tre sindaci revisori di lungo corso, per cui i Pm hanno chiesto condanne intorno a tre anni, mentre rischiavano molto meno i loro colleghi e altri consiglieri di secondaria importanza.

Un precedente c’era: la condanna a cinque anni inflitta nel gennaio del 2019 in rito abbreviato a ll’ex presidente Giuseppe Fornasari e l’ex Dg Luca Bronchi e quella a due anni e 6 mesi all'ex vicepresidente Alfredo Berni e ad un anno e 6 mesi all'ex consigliere Rossano Soldini. C'è chi avrebbe giurato che quello sarebbe stato il termine di paragone determinante: e invece è arrivato il verdetto clamoros completamente all'opposto. Tutti assolti. Meno uno.