Crac Etruria, il conto è più salato: "Danni da 576 milioni, 464 a carico degli ex vertici"

Azione di responsabilità del liquidatore: il capitolo più pesante è la mancata fusione con Vicenza. "Banca spolpata e condotta allo sfacelo"

LA PROTESTA IN PIAZZA_13378090_034811

LA PROTESTA IN PIAZZA_13378090_034811

Arezzo, 12 ottobre 2017 - Il conto del crac Etruria è persino più salato delle prime indiscrezioni di stampa: non 400 milioni, ma 576, di cui 464 a carico degli ex amministratori della banca più discussa degli ultimi anni. Cui si aggiungono i 112 addebitati a Price Waterhouse, la società di revisione che certificava il bilancio di Bpel.

Sono queste le richieste di danni che il liquidatore della Vecchia Etruria, Giuseppe Santoni, ha presentato al tribunale civile di Roma, avviando così l’azione di responsabilità annunciata un anno e mezzo fa (nel marzo 2016) con la prima lettera di messa in mora, pubblicata in anteprima da Qn. Allora l’intimazione di pagamento era stata di 300 milioni, ora si sale quasi al doppio.

Nel mirino due ex presidenti (Giuseppe Fornasari e Lorenzo Rosi), quattro ex vicepresidenti (Giovanni Inghirami, Giorgio Guerrini, Alfredo Berni e Pierluigi Boschi, padre del sottosegretario a Palazzo Chigi Maria Elena), un ex direttore generale, Luca Bronchi, e 30 fra ex membri dei tre Cda succedutisi dal 2010, ex sindaci revisori ed eredi di consiglieri defunti.

Il ritratto che della loro attività viene tracciato nell’atto di citazione, che il nostro giornale è in grado di anticipare, è devastante: «La vicenda Bpel – scrive l’avvocato Antonio Briguglio per conto del liquidatore – ben al di là delle pur eclatanti cronache giornalistiche, è storia incredibile di mala gestio... Una banca popolare assai radicata nel territorio... è stata nel giro di alcuni anni letteralmente condotta allo sfacelo».

E ancora: «La banca è crollata, risultando totalmente spolpata, sotto il peso di una serie di errori madornali... intervallata da un’altrettanto incredibile serie di erogazioni di favore e/o in palese conflitto di interessi, ovvero dissennate o inutili».

Nel conto di Santoni il capitolo più pesante è quello della mancata fusione con Popolare Vicenza, per la quale il liquidatore quantifica il danno in addirittura 212 milioni (il prezzo offerto dalla banca di Zonin in una discussa Opa). Quasi altrettanto eclatante è la somma che Santoni calcola quale perdita nei finanziamenti erogati: 140 milioni, divisi per singoli punti.

Si va dai 38 del fido alla Sacci (guidata da Augusto Federici, uno dei consiglieri ora citati a giudizio), ai 22 dello Yacht di Civitavecchia, che ancora arrugginisce in porto senza aver mai preso il mare, dai 19 delle società assistite dallo studio di Luciano Nataloni (altro ex consigliere) ai 17 della villa San Carlo Borromeo del guru Armando Verdiglione.

Nè Santoni si dimentica della gestione dei crediti deteriorati, cioè delle carenze nel recupero di sofferenze ed incagli: 112 milioni di danni. In totale, sarebbe una media di 12 milioni a testa, ma il calcolo non è così semplice, perchè i singoli citati sono responsabili in solido solo per i punti loro contestati. L’azione di responsabilità è stata depositata in tribunale nei giorni scorsi, dopo essere rimasta ferma per mesi in Banca d’Italia, in attesa del via libera del direttorio.

Gli interessati ne stanno avendo notifica in queste ore. E le reazioni, sia pure senza virgolette, sono sbigottite: richieste assurde, senza senso, ben al di là delle responsabilità. Fonti vicine all’ultimo presidente Rosi si indignano in particolare per le accuse sulla fusione con Vicenza, vista la fine che ha fatto la banca di Zonin: sarebbe stata una rovina. E poi Bpvi, si dice, non presentò mai una vera offerta, anzi si tirò indietro al momento di chiudere.