Cortona senza turisti all'anno zero: la città etrusca resta chiusa al 70%

Desolazione Rugapiana: serrande giù da Piazzale Garibaldi al Signorelli, hotel chiusi. Tremila fermi fra assegni Inps, cassa integrazione e stagionali senza diritti

Turisti a Cortona

Turisti a Cortona

Arezzo, 29 maggio 2020 - Paese mio che stai sulla collina. Ve la ricordate la canzone simbolo che il paroliere Franco Migliacci dedicò alla sua Cortona, protagonista di un lontano Sanremo? Ricorderete allora anche il seguito: seduto come un vecchio addormentato. Eccola come appare la città etrusca a chi risale il colle arrampicato sulla Valdichiana e sul Trasimeno quando sono già trascorsi dieci giorni dalla fine del lockdown commerciale e da quella che un po’ pomposamente (almeno da Cortona pare così) è stata ribattezzata la Fase 2.

Un centro storico ripiegato su se stesso, dal piazzale Garibaldi affacciato sul lago, fino alla piazza del Comune e al Teatro Signorelli, svuotati come quinte di un teatro abbandonato. Di turisti, che erano quelli che riempivano la scena, neppure l’ombra (ed è ovvio in questo momento), di residenti pochi e in gran parte anziani. Il biglietto da visita è Rugapiana, la strada dello struscio che come una ferita taglia tutto il centro storico: la gran parte dei negozi (diciamo il 70 per cento?) ancora chiusi, i bar, alle sei del pomeriggio e quei pochi che hanno riaperto, con le serrande abbassate, i ristoranti quasi tutti rintanati in attesa di tempi migliori.

Il riassunto lo fa la proprietaria del caffè presso il quale il viaggiatore smarrito e in un certo senso affascinato (è tornata la Cortona città del silenzio di D’Annunzio) riesce finalmente a ordinare una tazzina: «Noi siamo ancora aperti, e comunque con una sola persona invece di due, perchè ci fermiamo in pausa pranzo.

Gli altri alle 17 chiudono. Tanto per chi rimangono?». Il conto, invece lo presenta Carlo Umberto Salvicchi, direttore di zona di Confcommercio: «Un disastro, gli alberghi fermi al 100 per cento, i bar in crisi, i ristoranti al palo, almeno 3 mila occupati che non hanno prospettive nè futuro. I padroni che tirano avanti con i 600 euro dell’Inps, i dipendenti in cassa integrazione, quando ce l’hanno. Perchè ci sono anche un migliaio di stagionali fuori proprio da tutto. Venivano licenziati e riassunti ogni stagion. Più l’indotto di piccoli artigiani che vivevano intorno al turismo e che non hanno un domani certo».

E’, più in piccolo naturalmente, l’effetto Firenze e Venezia. Le città del turismo come attività prevalente che sono alla paralisi. A Cortona, intesa come centro storico, restano, calcola Salvicchi, nemmeno mille residenti, in gran parte in là con gli anni. Non è gente, insomma, con la quale si possa sostenere un’economia tarata al 70-80 per cento del Pil intorno all’industria ricettiva.

La differenza la si nota già scendendo giù dal colle, a Camucia, dove invece è tutto riaperto, come a Castiglion Fiorentino. Chi il suo bacino di affari lo aveva principalmente nei residenti (e lo si vede anche nella velocità con cui, sia pure non a pieno ritmo, ha ricominciato il capoluogo Arezzo) riparte, chi invece aveva puntato tutte le sue carte sul turismo è all’anno zero della disperazione.

Era stato facile profeta il direttore rdi Confcommercio, Franco Marinoni, nel prevedere che Cortona avrebbe avuto le stesse difficoltà di Firenze, ferma nel centro storico e riaperta in periferia, dove il motore non sono i turisti ma gli abitanti. Nella città etrusca succede la stessa cosa, con Rugapiana non molto diversa dalle immagini desolate del Ponte Vecchio sbarrato.

La speranza è adesso giugno, ancor più l’estate vera, col ritorno almeno del turismo di prossimità. Ma intanto il sole che tramonta in lontananza sul lago è la metafora di una città immersa nel buio.