Consulenze d'oro, il Pm chiede la condanna per Boschi e gli altri imputati

Un anno per lui e Nataloni, richieste diversificate sugli altri coinvolti in uno dei filoni residui dei processi di Banca Etruria. Ora la parola alle difese

Ada Grignani

Ada Grignani

Arezzo, 4 maggio 2022 - E' arrivata puntuale la richiesta di condanna. La condanna sul filone delle consulenze d'oro, uno degli ultimi ad arrivare gradualmente a sentenza di quelli legati all'ex Banca Etruria.

Una richiesta di condanna che accomuna quasi tutti i consiglieri dell'ultimo Cda, compreso Pierluigi Boschi. Anzi, per lui e per Luciano Nataloni c'è la richiesta più alta, quella ad una pena di un anno.

Ma le differenze alla fine sono minime, legate al ruolo avuto dai vari personaggi, al loro voto in consiglio e ai capi d'imputazione. Per l'esattezza la richiesta è di  8 mesi per Daniele Cabiati, Carlo Catanossi, Emanuele Cuccaro; 9 mesi per Alessandro Benocci, Claudia Bonollo, Giovanni Grazzini, Anna Lapini,  Alessandro Liberatori e Ilaria Tosti; 10 mesi per Claudio Salini e per l'appunto un anno per Boschi e Nataloni ma anche per Claudia Bugno e Luigi Nannipieri.

E' la richiesta presentata dal Pm Angela Masiello nell'udienza guidata da Ada Grignani. E a fronte della quale ora inizieranno le arringhe dei difensori.

L'ipotesi di accusa è nota: considera quelle consulenze soltanto dei doppioni oppure inutili. E' stata la Guardia di Finanza ad indagare sui 4,5 milioni di incarichi affidati dall’ultimo Cda. Secondo la Procura fu tenuta una condotta imprudente, con i vertici della banca che non avrebbero vigilato sulla redazione di quelle consulenze, ritenute dagli inquirenti in gran parte inutili e ripetitive. L’esborso però sarebbe stato tale da dare un colpo forte all’economia già precaria dell’istituto aretino.

Era stato l’audit interno di Banca Etruria a contestare in prima battuta le consulenze affidato dall’ultimo Cda, che è imputato quasi al gran completo, compreso Babbo Boschi. La Finanza è partita da lì, dalle pratiche finite nel mirino, per approfondirne alcune, tutte riguardanti il progetto di fusione con un istituto di elevato standing che poi divenne in concreto Popolare Vicenza.  Sotto la lente sono finiti l’affidamento di incarichi, in un arco temporale compreso tra il giugno e l’ottobre 2014, a grandi società, come Mediobanca, o conosciuti studi legali di Roma, Milano e Torino.

Ma questa è soltanto l’ipotesi d’accusa, e che gli imputati con le loro difese negano decisamente. Parlano, come via via è emerso durante il processo, di consulenze considerate del tutto necessarie e in un contesto nel quale la solidità della banca non era stata ancora messa in discussione.