Centomila chilometri in due anni senza prendere aerei: il lungo viaggio di Simone Piccini

"Ero stanco della vita che facevo, lavoravo tanto da non avere il tempo di spendere quello che guadagnavo". Due anni in giro per il mondo, incontri con persone speciali e il progetto di costruire un ostello e un campo di calcio per i bambini colombiani della Comuna 13. Un libro e un altro viaggio con raccolta fondi

Simone Piccini

Simone Piccini

Arezzo 20 gennaio 2019 - “Lavoravo sempre, di giorno alle assicurazioni, la sera come barman, mettevo da parte soldi che non avevo tempo di spendere. Stavo scoppiando. Non era vita, ma sopravvivenza”. Simone Piccini ha 39 anni e vive all’Orciolaia quando decide di prendere una pausa, quanto lunga non lo sa nemmeno lui. Lascia il lavoro, vende auto e mobili di casa, investe la liquidazione in un viaggio. In spalla uno zaino di 20 chili, in tasca una spesa massima di 25-30 euro al giorno. Prima tappa la Transiberiana. “Se prendevo un aereo mi sarei perso tutta la bellezza del viaggio” racconta Simone, e così va alla stazione di Arezzo e sale sul treno per Trieste.

E’ il 3 maggio 2016. Tornerà a casa due anni dopo, il 3 maggio 2018, dopo aver percorso 100mila chilometri in 730 giorni senza mai volare, due volte e mezzo il giro intorno al mondo, fra treni, bus, passaggi in auto, navi mercantili, ostelli, famiglie sempre disponibili ad aprire la porta, incontri con persone speciali. Europa, Russia, Mongolia, Cina, Giappone, Vietnam, Cambogia, Laos, Thailandia, Malesia, Singapore, cinquemila km in Australia con una bici. Da Sydney attraversa l’Oceano Pacifico, in navigazione 32 giorni per il Sudamerica: Colombia, Argentina, Paraguay e Brasile. Di nuovo in mare, per 18 giorni nell’Atlantico destinazione Africa. Quando rimette piede in Europa è in Spagna, poi l’Italia. “La prima cosa che ho fatto appena arrivato a casa? Ho mangiato la pizza”. Cinque continenti, 27 paesi.

“Un viaggio dentro al mondo” raccontato sul web, poi sulla carta durante i lunghi giorni di navigazione: “non volevo scrivere il diario giorno per giorno, sarebbe venuto un lungo elenco della spesa, ma una volta disconnesso dal mondo quando ero in mare ho avuto il bisogno di scrivere le emozioni vissute, e così le prime 350 pagine sono venute tutte insieme, di getto. Poi è nato il libro “Wanderhung” il cui ricavato servirà per costruire un ostello per viaggiatori e un campo da calcio per i bambini colombiani della Comuna 13 di Medellin, strapparli dalle mani del narcotraffico e dalla violenza di strada. Un viaggio dentro se stesso dove non hanno contato i posti visti, comprese le meraviglie del mondo come la Grade Muraglia e il Taji Mahal, ma le persone incontrate.

“Ho scoperto di non esser la persona paurosa che credevo, ho sconfitto la paura affrontandola o almeno provandoci. Sono stato fortunato. Viaggiando in bici in Australia ho dovuto chiedere aiuto perché mi trovavo sotto il diluvio al buio senza poter picchettare la tenda, ho sempre ricevuto una doccia, un pasto, un divano”. Ma anche momenti bui e la voglia di mollare. “Il viaggio in moto in Vietnam fra strade pericolose e morti per incidenti sul ciglio della strada mi ha distrutto fisicamente e psicologicamente, mi ha salvato la Cambogia dove ho fatto la mia prima esperienza di volontariato in un orfanotrofio. Era la vigilia di Natale, sono arrivato vestito da Babbo Natale portando regali, ci sono rimasto 20 giorni aiutando i bambini.”.

Sempre i bambini gli cambieranno la vita, quelli di Medellin in Colombia, dove conosce la sua compagna Katherine che con lui affronterà la nuova avventura: “Partiremo il 4 febbraio per aprire un ostello nella Comuna 13, aiuteremo la famiglia dove ho vissuto per un mese e l’associazione che si occupa dei bambini che vivono in strada. Bambini tra gli 8 e i 13 anni che vivono sull’esempio degli adulti tra droga e alcol, molti dei quali sono soli dalla mattina alla sera perché i genitori lavorano dodici ore al giorno. Ma per fare questo servono soldi. Attraverso la mia pagina Facebook ‘Simone Piccini Wonderhang’ aprirò una raccolta fondi”. Non si ferma più, Simone, ma stavolta parte leggero, lascia la sua Hang, il suo strumento che lo ha accompagnato per due anni, e al suo posto porta una moka che la mamma gli ha già messo nello zaino. “Il nostro caffè è la cosa che mi è mancata di più”.