Coltiva cannabis per curarsi, ecco perché è stato assolto

Il Gup: il fatto non sussiste. Anche il Pm aveva chiesto il proscioglimento: manca l’offensività della condotta. Ma stride la condanna precedente dell’amico. L’attesa della folla di manifestanti e politici radunata a Palazzo di giustizia sotto la pioggia scrosciante

Gli avvocati Simonetti e Miglio escono con la sentenza da Palazzo di giustizia

Gli avvocati Simonetti e Miglio escono con la sentenza da Palazzo di giustizia

Arezzo, 28 aprile 2021 -  Non c’è Walter De Benedetto quando alle 13 i suoi avvocati escono dall’aula del Gup Fabio Lombardo con la sentenza e le dita alzate a V, sotto la pioggia battente che bagna le telecamere in attesa davanti a Palazzo di giustizia. Non c’è perchè il maltempo e il peggioramento progressivo delle sue condizioni di salute (più volte ha parlato di andare in Svizzera a farla finita) gli hanno consigliato di restarsene a casa e di non mostrare in pubblico il suo corpo martoriato dall’artritre deformante, inchiodato a una sedia a rotelle, avviluppato nelle coperte e in una giacca pesante, come all’udienza precedente di febbraio. Non c’è ma è il primo a sapere, per telefono, mentre i giornalisti sono ancora in attesa, zuppi delle scroscio rovesciato dal cielo di una giornata marzolina: assolto perchè il fatto non sussiste.

Non è una sentenza a sorpresa, non almeno da quando, mezz’ora prima, è stata la stessa Pm d’aula, Laura Taddei, che sostituisce la collega Elisabetta Iannelli, titolare del fascicolo, a chiedere l’assoluzione. Manca, ha detto nella sua requisitoria, l’offensività della condotta, l’elemento oggettivo del reato, che quindi non c’è, neppure sotto la forma del famigerato quinto comma della legge antidroga, quello della modica quantità (qui di cannabis invece ce ne era a iosa) invocato ogni giorno dai pusher di tutta Italia, che non era stato concesso neppure all’amico di Walter, condannato come uno spacciatore qualsiasi. Una richiesta che ha tolto il giudice Lombardo anche dall’imbarazzo di dover contraddire la procura col suo verdetto. Suggerita probabilmente dal consiglio discreto del procuratore capo Roberto Rossi, che un paio di mesi fa aveva chiesto il proscioglimento anche in un caso molto simile.

E da casa sua, a Ripa di Olmo, un quarto d’ora dopo la sentenza, è proprio De Benedetto a commentare a caldo la sentenza che lo toglie da un incubo durato un anno e mezzo, per telefono, prima di staccarlo mentre piovono chiamate da tutta Italia: "Sono molto contento non solo per me ma anche per coloro che si trovano nelle mie condizioni. È stato finalmente affermato il principio del diritto di cura con la cannabis terapeutica".

Walter ha seguito anche la mobilitazione della piccola folla di manifestati radunata davanti a Palazzo di giustizia, come in mezzo paese: "Mi fa immensamente piacere la mobilitazione che c’è stata davanti ai palazzi di giustizia di 18 città italiane il segno di come la mia storia ha colpito. In questo momento sto ricevendo decine di telefonate di amici e di tutte le persone che mi hanno sostenuto a cominciare da Enzo Brogi uno dei primi che si è interessato".

E appunto c’è anche Brogi ad aspettare sotto la pioggia. Con lui Riccardo Magi, deputato di Più Europa, Massimo Iervolino, segretario radicale, e Caterina Licatini, deputata a 5 stelle siciliana. Alcuni di loro sono tra quelli che hanno seguito la storia di Walter fin dal principio, fino a quando è deflagrata come un caso nazionale: la soffiata maligna, i carabinieri che arrivano e trovano la piantagione di cannabis, con l’amico che la sta annaffiando arrestato, mentre De Benedetto si assume subito le sue responsabilità: "La cannabis è mia, mi serve a lenire i dolori atroci dell’artrite reumatoide, come da prescrizione medica, solo che la Usl non me ne passa a sufficienza e allora io me la coltivo da solo". Un fascicolo giudiziario che probabilmente non valeva neppure la pena di aprire. Ma almeno adesso è finita.