Cane e gatto sequestrati da tre mesi, lettera aperta al sindaco: "Lei può restituirceli"

Il cane Birba e la gatta Olivia con i suoi tre cuccioli in isolamento da tre mesi dopo il caso Lyssavirus: "Il sindaco è l'autorità sanitaria in campo e può decidere in automomia di restituirceli"

Olivia e Birba

Olivia e Birba

Arezzo 17 settembre 2020 - “Di sicuro si sentirà abbandonata. Chiusa da tre mesi nel canile della Cella senza più rivederci e non possiamo nemmeno avvicinarci perché sarebbe ogni volta un abbandono. Birba è una cagnolina meticcia di dieci anni, arrivata a casa aveva tre mesi. Da allora non ci siamo mai separati da lei. Aiutateci a riportarla a casa”. Birba è la cagnolina che viveva in casa con Penelope, la gatta morta per lyssavirus. Sta scontando la sua reclusione dopo l’ordinanza emessa per questo caso di malattia rarissima che ha colpito la gattina, poi morta nella clinica di Monsummano. In isolamento anche la gatta Olivia, della stessa famiglia, che nel frattempo ha partorito tre cuccioli con lei in un gattile di Firenze. Quattro cani dal canile sono tornati a casa, ma lei no, il suo isolamento nel box continua nonostante i padroni chiedano da mesi di proseguire la quarantena “ai domiciliari” e nel frattempo abbiano costruito un recinto in giardino. Non ottenendo risposta né dalla Asl né dal sindaco la sua padrona Elisabetta Di Benedetto ha fatto un annuncio pubblico su Facebook, chiesto l’aiuto dei giornalisti e delle associazioni animaliste nel tentativo di smuovere le istituzioni, soprattutto il  sindaco  che, dice Elisabetta, “può decidere in autonomia di restituirci Birba e Olivia”. Il sindaco ha risposto su Facebook: ”Ho già provveduto a richiedere il nulla osta alla Asl ricevendo un parere negativo perentorio (alla prima richiesta) e non ricevendo ancora nessun riscontro al mio secondo tentativo. E ciò francamente non mi fa ben sperare. La Asl sta cercando una soluzione di mediazione ma va detto che l'ostacolo principale è che questi due animali sono stati a contatto con il gattino malato e deceduto il che, ovviamente, rende il caso diverso e ben più difficile rispetto agli altri. A me non è concesso fare di più, resta fermo che sollecito la Asl a darmi un riscontro per restituire questi animalini alle loro famiglie”. Questo ha spinto Elisabetta Di Benedetto a scrivere una lettera aperta. Eccola. “La ringrazio, Sindaco, per le sue precisazioni. Sotto il profilo puramente formale, è evidente che lei si rimetta al parere della Asl, anche se a lei spetta l'ultima parola in materia di salute pubblica per decidere in merito all'affido domiciliare della nostra cagnolina Birba, della gattina Olivia e dei suoi tre cuccioli, ancora sequestrati e rinchiusi in canile e in gattile. Ma al di là delle procedure che lei giustamente richiama, a mio parere questa vicenda, a quanto pare unica nel suo genere, proprio per la sua unicità, avrebbe richiesto anche altro, di sicuro sotto il profilo della sensibilità nei confronti degli animali. Una domanda su tutte: come si può pensare di lasciar marcire per sei mesi un animale in uno spazio ristretto quale quello del canile sanitario o una gabbia per gatti? Perché questa sarebbe stata la sorte di tutti gli animali sequestrati, se i proprietari e le associazioni non fossero scesi in campo per cercare di tutelare i diritti di chi evidentemente non ha voce, nonostante non abbia colpe. E questa probabilmente sarà la sorte dei due poveri cani senza famiglia, ancora rinchiusi nel canile di Arezzo insieme a Birba. La sofferenza è sofferenza, sia che viaggi su due che su quattro zampe. E questa avrebbe dovuto essere la prima considerazione ad animare qualunque azione fin dall'inizio di questa tristissima, ma per me illuminante vicenda. In primo luogo non è stato delineato né un percorso, né un quadro certo. È stato assimilato questo virus a quello della rabbia classica quando proprio in un documento ministeriale si sottolinea come sia eziologicamente molto diverso dalla rabbia. Nello stesso documento si insiste anche sul fatto che la possibilità di trasmissione all'essere umano sia estremamente rara. Si parla solo di essere umano, ma mi è stato riferito che anche il salto di specie sarebbe estremamente raro, già ce n'è stato uno (pare) da pipistrello a gatto, un altro verso uomo, cane o altro sembra rasenti l'impossibile. Sottolineo "mi è stato riferito" , perché gran parte di questa vicenda si è consumata verbalmente e si sa: verba volant. Mi sembra impossibile che dopo tre mesi, e tutto quello che hanno significato, di documentato per quanto ne so io non ci siano che tre ordinanze, due documenti ministeriali, reperiti in rete e una breve sintesi sul sito dell'istituto zooprofilattico delle Venezie. Davvero poco a fronte del tanto che così pesantemente incide sulla vita di esseri viventi a due e quattro zampe. A me sono stati menzionati referti e pareri, ma non ho mai visto documenti. Neanche le procedure adottate restituiscono un quadro chiaro: noi umani vaccinati subito e di gran carriera, la gatta dopo 15 giorni (e correttamente, visto che la legge prevede un periodo di osservazione di 10 giorni, durante i quali non debbano essere somministrati trattamenti immunizzanti, per non inquinare il quadro clinico, suppongo), il cane no. Nessuno ha mai saputo dire chiaramente perché no e anche questo lo vorrei vedere scritto. La legge prevede la riduzione della quarantena a tre mesi nel caso di vaccinazione postcontagio, contagio che, ripeto, mi sembra altamente improbabile, data l'assenza di morsicature e sintomatologia negli animali. Quindi la gatta potrebbe uscire, addirittura senza quarantena? Per non parlare dei gattini, nati dopo che la gatta infetta era già stata allontanata da casa. Come vede, Sindaco, sono tante le pieghe attraverso le quali si dipana questa vicenda e avrebbero richiesto - a tutti i livelli - molta più attenzione, sensibilità e discernimento di quanto non abbiano ricevuto. Si interpretano le leggi, figuriamoci i pareri. La burocrazia non risolve i problemi, nella maggior parte dei casi è solo un comodo paravento per chi non vuole o non sa risolverli. Non sono un'esperta e non posso assumere decisioni, posso solo appellarmi al buon senso e al senso di umanità. Io e la mia famiglia abbiamo fin dall'inizio mostrato massimo senso di responsabilità e offerto tutta la collaborazione possibile. Per tre mesi abbiamo accettato di buon grado tutte le decisioni assunte dalle diverse autorità, senza mai uscire con dichiarazioni pubbliche. Dopo tre mesi di inconcludenti trattative, ho deciso di uscire pubblicamente perché le prolungate condizioni di dura detenzione degli animali mi fanno temere per il loro benessere psicofisico. Non a caso ho richiesto alla Asl una perizia sul mio cane da parte di un'educatrice cinofila che la conosce da molto tempo. Spero che almeno questo mi sia consentito. Per concludere, né strumentalizzazioni, né mistificazioni da parte mia, solo un appello per gli animali. Non chiedo favori, semplicemente di applicare la legge nella sua parte meno dura. Come ho fatto da subito sono pronta a sostenere ciò che mi spetta con il massimo senso di responsabilità, chiedo agli altri soggetti coinvolti di fare altrettanto. A lei, Sindaco, l'onore e l'onere dell'ultima decisione”.