Caccia ai tamponi anche al pronto soccorso "Linee 118 intasate per la paura del contagio"

Il primario Massimo Mandò: "Servirebbero test solo ai sintomatici e percorsi differenti tra vaccinati e non". Il reparto senza personale: 16 medici ma dovrebbero essere il doppio

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Arezzo, 29 dicembre 2021 - "Il pronto soccorso non è un tamponificio per confermare o meno i test antigenici risultati positivi (che d’ora in poi hanno valore come stabilito dalla Regione Toscana, ndr). E invece, in questi giorni vengono da noi, almeno 4 o 5 al giorno, sostenendo che il medico di famiglia o il farmacista gli ha detto di bussare alla nostra porta: andrebbero fatti solo ai sintomatici". Senza contare l’effetto paura da virus: "Telefonano al 118 con l’ansia, ma tanti vogliono sapere da noi se possono essere stati contagiati in base ai contatti avuti nei giorni di festa. Ci hanno intasato i centralini dell’emergenza: proviamo a rispondere a tutti ma è certo che i test fai da te in casa hanno fatto più danni della grandine".

Massimo Mandò è l’energico primario del Dipartimento dell’emergenza-urgenza a capo di una squadra di 16 medici quando invece dovrebbero essere il doppio, che si è ’fatto’ tutto il Covid in prima linea mettendo in pratica quel monitoraggio domiciliare ai pazienti meno gravi, attraverso un braccialetto che trasmetteva al monitor della centrale i parametri vitali per intervenire, se necessario. Il potenziamento sul territorio messo in pratica. Ma Mandò è anche un uomo che il virus l’ha vissuto sulla propria pelle. "E’ la malattia della solitudine, io lo ricordo bene l’isolamento. Accendevo la tv e sentivo ’Morti 70 medici, il giorno dopo 80’. Mi veniva l’ansia e pensavo ’Adesso tocca anche a me’".

E ora, che succede?

"I pazienti sono più preoccupati che sintomatici, la malattia è meno grave, merito dei vaccini e dei monoclonali: i ragazzi delle Usca sono bravissimi e davanti ai colleghi delle Malattie infettive mi tolgo il cappello. Hanno evitato che un 15-20% sviluppasse un quadro severo e finisse in ospedale. Ma noi medici, per primi, dobbiamo riprenderci il nostro ruolo ed evitare la rincorsa al tamponificio. Oggi abbiamo due in ’bolla’ Covid: uno con un problema neurologico, l’altro addominale ma stanno bene. Li rimandiamo a casa: col Covid non c’entrano. Pazienti con tre dosi ne abbiamo visti pochissimi, seconde dosi vengono positivi ma per altri motivi".

Chi accede al pronto soccorso?

"Tutti. Mentre la prima ondata era vuoto e da 220 accessi al giorno, nel 2020 eravamo scesi a 60 perché non c’erano traumi, e molti infarti restavano a casa e purtroppo morivano pure perchè non chiamavano. Attualmente abbiamo una media di 170 accessi al giorno ma il week end dobbiamo fare i conti con gli ingressi delle Rsa: non hanno sanitari dentro e con un colpo di tosse li portano al pronto soccorso. E’ una cattiva abitudine come quella di dare appuntamento ai pazienti dopo 7 giorni. Anche se gli fa male un dito indovini dove vengono...".

E questa storia dei tamponi?

"Stamattina (ieri, ndr) ci hanno persino chiamato da un paesino di montagna dicendo che un ragazzino respirava male. Siamo corsi ma, una volta arrivati, volevano fare solo il tampone. Spesso sono proprio i non vaccinati a chiamarci per andare da loro. Invece...".

E invece?

"Io sono un medico di campagna ma la penso così: facciamo percorsi distinti per vaccinati e non, tamponi solo ai sintomatici e ricoveriamo chi ne ha bisogno".

Adesso avete pazienti con i braccialetti?

"No, non c’è bisogno ma seguiamo una decina di positivi a casa in sicurezza: andiamo a visitarli, facciamo emogas, ecografia toracica, controlliamo frequenza respiratoria e cardiaca. Spesso sono solo ansiosi ma se peggiorano e lo vediamo dai parametri clinici, li ricoveriamo direttamente in Malattie infettive. Così evitiamo le file al pronto soccorso".

Nelle prime ondate del virus vennero trascurate le altre patologie. Accade anche adesso?

"No, l’anno scorso le persone non chiamavano o lo facevano tardi". Ci spostiamo con il dottor Mandò nella centrale del 118, all’esterno dell’ospedale dove una decina di operatori sono attaccati ai telefoni e verificano lo stato degli interventi su immensi monitor. "Vediamo anche i tracciati di pazienti a rischio cardiaco, esami eseguiti direttamente a casa: se abbiamo bisogno di una second opinion li mandiamo ai cardiologi". Un altro schermo rimanda i video delle telecamere dei gruppi di intervento sul territorio: 51 in tutto da Sestino alla Valdichiana. "In caso di traumi possiamo seguire in diretta tutto l’intervento fino all’arrivo da noi". E’ il percorso dell’emergenza con un ingresso dedicato che finisce in sala rossa. Gli altri due punti di accesso distinti sono i Covid (percorso ’sporco’ in gergo sanitario) e pulito ovvero ordinario.

Dottore ma il pronto soccorso soffre una grave carenza di personale. Com’è la situazione?

"Dovremmo avere dai 27 ai 29 medici, ne abbiamo solo 16".

E come fate?

"In estate ci hanno dato una mano i colleghi di altri reparti, la ’bolla’ Covid di giorno è gestita dagli infettivologi. Poi facciamo straordinari, saltiamo riposi, turni liberi, siamo sempre presenti. Non siamo un ambulatorio e non possiamo chiudere perchè manca personale, altrimenti si blocca tutto l’ospedale".

Anche questa è un’emergenza che sembra stia diventando normalità.