Boschi rischia il processo: consulenze, avviso fine indagini a 17 per bancarotta semplice

E' il preludio di solito della richiesta di rinvio a giudizio. Era l'ultimo filone residuo: gli interessati hanno venti giorni di tempo per convincere la Procura a cambiare strada

Pierluigi Boschi

Pierluigi Boschi

Arezzo, 13 giugno 2019 - E’ caduto all’ultimo ostacolo, quando forse già pensava di essersi liberato del caso Etruria con un percorso netto. E invece no. Perchè adesso, per la prima volta nella storia della lunga inchiesta, anche Pierluigi Boschi, a suo tempo il babbo più famoso d’Italia, rischia il processo. Sia pure per un reato minore come la bancarotta semplice o colposa, molto più leggero della bancarotta fraudolenta imputata a molti altri amministratori e per la quale sono già stati condannati in tre col rito abbreviato, l’ex presidente Giuseppe Fornasari, l’ex direttore generale Luca Bronchi e un altro ex dg poi vicepresidente come Alfredo Berni.

Il filone è quello delle consulenze affidate da Etruria. Era praticamente l’ultimo sul quale si stava indagando e in molti pensavano che sarebbe finita anche lì con un’archiviazione. Invece il pool dei Pm che indaga notifica a 17 ex amministratori, fra cui appunto babbo Boschi, l’avviso di chiusura indagini, che di solito è il preludio della richiesta di rinvio a giudizio. Ora il padre degli ex ministri e gli altri hanno venti giorni di tempo per convincere la procura a cambiare strada.

Lo possono fare con richiesta di interrogatorio, memorie difensive scritte e altri atti. Altrimenti, trascorso il termine si andrà inevitabilmente all’udienza preliminare dal Gip. Nel mirino ci sono le consulenze per alcune centinaia di migliaia di euro che vennero decise tra giugno e ottobre del 2014 in vista della fusione. Incarichi a Mediobanca, che avrebbe dovuto essere l’advisor dell’operazione, e ad alcuni studi legali per gli aspetti giuridici.

Tra gli altri ci sarebbero lo studio Grande Stevens di Torino e quello Zoppini di Roma. Sotto accusa finisce l’ultimo Cda di Bpel, quello presieduto da Lorenzo Rosi, che aveva per vice Alfredo Berni e Pierluigi Boschi. Secondo le indiscrezioni, il 415 bis, come si chiama in gergo l’avviso di fine indagine, coinvolge i consiglieri, Luca Bronchi, direttore fino alla fine di giugno, e il suo successore Daniele Cabiati.

A tutti loro non viene imputata una bancarotta dolosa ma la negligenza nel controllare i risultati di quelle consulenze, che si sarebbero tradotte in pagine spesso pletoriche e ripetitive, senza apportare un reale contributo al piano di fusione. Per i Pm, insomma, gli incarichi sarebbero stati inutili, sostanzialmente uno spreco di denaro della banca, perchè dai conti uscirono somme consistenti ma che non avrebbero portato alcun risultato.

Una piccola mazzata per chi, l’ultimo Cda quasi al completo, sperava di essere uscito indenne dall’inchiesta. In particolare, babbo Boschi aveva schivato la mina del falso in prospetto sulle subordinate e anche quella della bancarotta relativa alla liquidazione di Bronchi. Due vicende nelle quali aveva sempre spuntato l’archiviazione o almeno la richiesta di archiviazione.

Per lui che era diventato il simbolo politico-mediatico del groviglio Etruria pareva tutto finito. Invece l’ultima curva l’ha mandato fuori strada. Ora dovrà trovare il modo di evitare il processo o quantomeno di uscirne senza danni.