Bartolo: "Lampedusa è una porta aperta, basta bugie, ho visto troppi morti e tanto orrore"

Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, racconta agli studenti aretini storie di uomini, donne e bambini torturati, violentati, morti annegati, uccisi. Ma anche di piccoli miracoli. "Lo dico ai giovani perché a loro ci credo". Dopo due film e due libri affronta la carriera politica: "Il mondo deve sapere cosa sta succedendo. Ora basta bugie"

Pietro Bartolo all'università aretina

Pietro Bartolo all'università aretina

Arezzo 12 giugno 2019 - “Lampedusa è un’isola, una zattera salvagente da 30 anni ed è più vicina all’Africa che all’Italia. Sembra messa là apposta sulla rotta migratoria, da sempre fa da ricovero ai popoli che navigano il Mediterraneo, greci, fenici, spagnoli, arabi, turchi. E’ un porto naturale, è la porta d’Europa. Come quella costruita dall’artista Mimmo Paladino, una porta sempre aperta rivolta verso la Libia. Ora di immigrati ne arrivano pochi ma nessuno sa dell’orrore e delle urla, di quello che succede dall’altra parte. Nessuno sa nulla. Chi sono, perché scappano, cosa vogliono, cosa rischiano. E chi parla dice bugie, menzogne, li descrive come mostri alieni, ma sono donne, uomini, bambini. E’ proprio dei bambini che ho deciso di scrivere nel mio secondo libro. Pensavo che se avessi parlato dei bambini qualcuno si sarebbe commosso. E invece in televisione si sente parlare di ‘bambini preconfezionati’. E’ vero, ne ho visti a centinaia confezionati, ma in buste chiuse con la cerniera, presi dal mare”. Parla ai giovani Pietro Bartolo, “perché mi piace incontrarli, credo in loro” confessa.

Ad ascoltarlo qualche giorno fa all’università aretina studenti delle superiori e studenti universitari. Un incontro per il festival dell’educazione organizzato dal direttore scientifico Loretta Fabbri, dal direttore del dipartimento Ferdinando Abbri, dal rettore dell’ateneo senese Francesco Frati per prevenire i fenomeni di radicalizzazione religiosa, politica e sociale nelle società multiculturali e per promuovere l’integrazione. Studenti silenziosi, commossi, ammutoliti dalle immagini che scorrono dietro al medico di Lampedusa, lui che è sempre il primo a correre sul molo ad aspettare di gente che viene dal mare, tanti ce la fanno, tanti no. E i morti non si dimenticano. “Sono 28 anni che mi occupo di queste persone, ne ho visitati più di 350mila uno per uno, un record, e non portano malattie, e la prova è che oggi sono qui con voi. Sono il primo a salire a bordo per dare il permesso di scendere e non ho mai riscontrato una malattia infettiva grave, sono il primo a toccarli e ad abbracciarli. Quello che portano sono i segni della disidratazione, dell’ipotermia, delle violenze e delle torture. E purtroppo detengo anche il record mondiale delle ispezioni cadaveriche ma sono incapace di far capire al mondo cosa sta succedendo”.

Bartolo parla, la voce bassa, quasi stanca. Chissà quante volte ha raccontato questa storia e ogni volta l’orrore si rinnova.”Fino al 2013 arrivavano le carrette del mare - spiega - fino al 3 ottobre 2013 quando 368 persone morirono a trecento metri da riva. Quel giorno ha cambiato la mia vita e quella dei lampedusani, aprivo i sacchi e ci trovavo bambini vestiti a vesta, le mamme li avevano preparati con gli abiti buoni per il mondo nuovo, per il loro ingresso in Europa. Da quel momento odio aprire i sacchi, mi fanno paura, temo di trovarci dei bambini. Sono bambini, non sono diversi, ma nessuno si indigna. Si parla solo di invasione, di fastidio e dimentichiamo che stiamo parlando di esseri umani”. Ma qualcosa è cambiato: “Da quell’ottobre sono cominciate le operazioni di Mare Nostrum con le navi militari verso la Libia a salvare le persone e i trafficanti hanno fatto bingo. Al posto delle banche hanno comprato i gommoni cinesi a 20 euro, senza chiglia che basta un buco a farli affondare, ci caricano dalle 120 alle 150 persone che se si rifiutano gli sparano, e tante taniche di benzina per alimentare un piccolo motore fuoribordo. Acqua e benzina finiscono nel catino del gommone dove di solito vengono fatte sedere le donne con i bambini per proteggerle. All’inizio questa miscela inzuppa i vestiti, dà calore, poi le ustiona. L’ho chiamata io la malattia del gommone, è mortale. Ma non è l’unico pericolo per le donne che non hanno lo status di esseri umani. Sono state tutte violentate e chi non è incita è perché è stata sottoposta a punture ormonali che bloccano il mestruo così quando arrivano in Europa le mandano a prostituirsi. Perché una donna incinta non può fare la prostituta. E a loro era stato detto che avrebbero fatto le badanti o le baby sitter”.

I morti, i morti sono la vera ossessione di Bartolo. “Ho visto cose che nessun uomo dovrebbe vedere, tanto orrore, a volte ho pensato di smettere perché ti senti inutile, impotente, che non finisce mai. Specie quando ritrovi davanti un bambino morto. Ho mollato almeno dieci volte, poi ci ripenso. Quante volte ho pianto, ho avuto paura, ho vomitato. Sento sempre la puzza, mi sembra di puzzare anch’io, è la cadaverina che rimane nel cervello per sempre. Un giorno mi chiama la capitaneria perché era arrivato un piccolo peschereccio con 250 persone a bordo, nessuno con malattie gravi, ma si agitavano disperati. Scendo nella stiva e mi ritrovo a camminare sul sangue e sui corpi di 25 ragazzi, tutti giovani, tutti ammazzati, non avevano più di 22 anni. Quando li hanno imbarcati non c’era spazio e li hanno mandati giù, loro dopo un po’ hanno tentato di risalire perché non riuscivano più a respirare ma i trafficati li hanno richiusi. Sono morti per asfissia. Avevano fratture alla testa e nelle mani, non avevano più le unghie né i polpastrelli per cercare di aprire un varco per respirare. Tutti a bordo avevano visto e sentito ma non potevano parlare”.

Ma nell’orrore avvengono anche i miracoli. Come quello di Kebrat. “C’era una ragazza già nel sacco dei cadaveri - ricorda Bartolo - le stavo tastando il polso per accertarmento quando ho sentito un battito flebile. L’ho intubata, massaggiata, ventilata, le ho fatto una puntura intracardiaca come avevo letto nei libri, era viva ma in coma per ipotermia, è stata portata in elicottero a Palermo e dimessa dopo 40 giorni. Ora sta bene, vive in Svezia ed è tornata a Lampedusa il 3 ottobre 2016. Per noi il 3 ottobre è il giorno della memoria, facciamo processioni di barche, gettiamo fiori in mare. Io quel giorno sono arrivato tardi all’aeroporto e pensavo che fosse tutto finito ma c’erano tanti giornalisti lì per me. Mi viene incontro una ragazza e mi abbraccia forte e mi dice ‘io sono Kebrat, la ragazza morta nel sacco, sono venuta per ringraziare’. E’ stata con la mia famiglia tre giorni. Queste sono le cose che ti dicono che sto facendo bene. Dopo Kebrat un po’ eroe mi sono sentito, ero felice. Come quando ho fatto partorire una donna su una motovedetta, non ero preparato, non avevo nulla, ho legato il cordone ombelicale col laccio delle scarpe. Non si è mai lamentata, ma diceva solo grazie grazie grazie. Da loro ho imparato amore e gratitudine”. E tanti bambini nati a Lampedusa sono stati chiamati Pietro.

Un altro sacco però è ancora oggi l’incubo di Bartolo. “Ce n’erano 111 nel molo e io dovevo aprirli, speravo che nel primo almeno non ci fosse un bambino. E invece. Aveva i pantaloni rossi e una maglietta bianca. Lo scuotevo per svegliarlo, lo guardavo negli occhi. Non lo avessi mai fatto. Lo sogno tutte le notti. Che reato ha commesso? In un altro c’era una donna con il suo bambino appena nato, ancora attaccati dal cordone ombelicale, sono stati sepolti insieme. Un’altra donna è arrivata paralizzata dopo essere stata violenta e picchiata, la accudiva la figlia di soli 4 anni ma sembrava già grande, se le davamo i biscotti li dava alla mamma, aveva nascosto i soldi dentro la vagina, le ho regalato un peluche ma non lo ha voluto, non era più una bambina, era stata violentata anche lei. E tutto questo succede nell’indifferenza più totale. Dobbiamo reagire. I bambini li scuoiano vivi per farli diventare bianchi. Muoiono. C’è chi viaggia per sei sette anni, attraversando il deserto e nutrendosi di cadaveri. E nessuno ne parla”.

Ma il medico di Lampedusa, che è stato appena eletto al Parlamento europeo, non si arrende. “Queste cose le devo far sapere al mondo, la gente non può sentire solo bugie come quella che i porti sono chiusi, Non è vero. Si continua a sbarcare. Mi sono inventato il film di Rosi ‘Fuocoammare’, vincitore a Berlino e candidato all’Oscar, sono andato a Hollywood vestito come un pinguino, ma non ci siamo riusciti nemmeno col film. Allora ho scritto due libri ‘Lacrime di sale’ e ‘Le stelle di Lampedusa’ e non è successo nulla, ho fatto un altro film ‘35° parallelo’ ma hanno pensato di censurarlo. Cosa devo fare? Vado in giro da tre anni ogni sabato e domenica a parlare ai giovani, a testimoniare, perché i giovani devono conoscere. Io racconto quello che vedo. Poi uno decide da che parte stare. I valori che danno un senso alla nostra vita sono fratellanza, amore, amicizia, uguaglianza, accoglienza, solidarietà, rispetto, che non è buonismo ma rispetto dei diritti umani e del diritto alla vita. Non basta? Allora entro in politica, ci credo, non fa schifo la politica, è servizio, può cambiare le cose, come non fare accordi con la Libia, con i criminali. L’Italia lo ha fatto, ha aperto e chiuso i porti sulla pelle della gente. Ma per noi vale la legge del mare, proteggere le persone e non i confini”.