Si addormenta e muore tra l'androne e la strada: nascosto, sfugge al prete salva-clochard

A Montevarchi la fine terribile di Sing Jaswinder, un indiano di 39 anni. Senza tetto da pochi mesi: l'amico era partito lasciandolo fuori casa. Viveva lì vicino

Il recupero del corpo

Il recupero del corpo

Arezzo, 12 dicembre 2018 - E’ morto in uno sgabuzzino, una piccola stanza di collegamento tra la galleria che unisce l’androne di un palazzo alla zona dei garage del condominio. In via Ammiraglio Burzagli, stroncato da un malore, quasi certamente provocato dal freddo come concausa di una dipendenza dall’alcol. Quasi per strada: ed è stato fatale proprio quel piccolo riparo.

Perché la sera prima il «missionario» dei senza tetto, don Mauro Frasi, era passato, raccogliendo e dando riparo a chi dormiva all’addiaccio. Ma lui non l’ha visto, non poteva vederlo. Un destino nel destino quello di Sing Jaswinder, indiano di 39 anni, operaio agricolo con regolare permesso di soggiorno. Era diventato un senzatetto da pochi mesi.

Da quando l’amico con cui condivideva la spesa dell’affitto registrato a suo nome e l’appartamento nella stessa strada dove è morto si era trasferito in un’altra città. A quel punto lui non ha più avuto la possibilità di entrare nell’abitazione. A trovarlo privo di vita attorno alle 8 di ieri mattina in quel riparo di fortuna dove spesso passava la notte è stato Michele Starace, un condomino dell’edificio a quattro piani, vicino al centro.

«Dovevo accompagnare mia moglie al lavoro – racconta – e appena arrivato nel sottopassaggio l’ho visto a terra. L’avevo incontrato verso le 18 di lunedì, spesso cercava rifugio qua sotto, ma non dava noia a nessuno. Mi sono subito reso conto che non respirava e ho chiamato aiuto». Troppo tardi, Sing era già morto.

Accanto al corpo alcuni tristissimi brick vuoti di vino, forse un tentativo di ricavare un po’ di calore nella prima vera notte gelida dell’anno, dalle temperature scese ben al di sotto dello zero, perfino tra quelle pareti di cemento. La salma è stata trasportata all’obitorio dell’ospedale, l’autopsia stabilirà l’esatta causa della morte: una prima ricognizione del cadavere escluderebbe traumi o segni di assunzione di droghe e si propende per l’ipotermia. La morte di freddo, per l’appunto.

«Questa povera gente – riprende Starace – andrebbe aiutata a non dormire al gelo». Che poi è la missione della casa famiglia della parrocchia del Giglio, uno dei presidi per chi è in difficoltà. Guidata, per l’appunto, da don Mauro Frasi. anche la notte scorsa, come sempre, aveva fatto il giro alla ricerca di clochard per offrire loro ospitalità.

«Lui però non sono riuscito a trovarlo, quell’angolino è lontano dalla strada e nessuno si è preoccupato di chiamare noi, le forze dell’ordine o il Comune per segnalarne la presenza. Siamo già in 34, ma non l’avrei mai lasciato lì. Quando si arriva a morire di freddo è una sconfitta per tutti». Altro non dice, asciutto come un missionario: «Qualunque frase diventa solo di circostanza».

Due anni fa don Mauro aveva sollecitato le istituzioni a tenere aperte di notte le sale d’attesa delle stazioni, proprio per evitare simili tragedie, non nuove per Montevarchi. Già nell’antivigilia di Natale del 2004 una giovane di origini somale, FaisaMahamed Hashi, fu trovata morta assiderata su una panchina di piazza della Repubblica.