Subordinate ex Bpel, ipotesi falso in prospetto: i Pm verso la richiesta di processo

Alla Consob e quindi al pubblico degli investitori non sarebbero stati comunicati nella primavera 2013 tutti i dati sulla reale situazione di Banca Etruria

Manifestazione risparmiatori Banca Etruria

Manifestazione risparmiatori Banca Etruria

Arezzo, 7 settembre 2018 - C’È UN’ALTRA spada di Damocle che pende sul capo degli ex vertici della fu Banca Etruria ed è l’accusa di falso in prospetto sulle due emissioni di subordinate, poi azzerate nella domenica nera del 22 novembre 2015, dell’estate e dell’autunno 2013. In tutto 130 milioni di obbligazioni, collocate presso il pubblico indistinto, finite in fumo per la rabbia di migliaia di risparmiatori, che per mesi e mesi non hanno mai smesso di protestare e che ancora sono organizzati in comitati che periodicamente riaccendono rumorosamente l’attenzione sul caso.

Bene, quegli stessi risparmiatori, al momento di sottoscrivere i titoli, furono correttamente informati dall’allora Banca Etruria della reale situazione finanziaria dell’istituto, cioè dello stato pre-fallimentare in cui si trovava Bpel, che appena un anno e mezzo dopo sarebbe stata commissariata e cui, ancora prima, nel dicembre 2013, il governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco impose di avviare le trattative per la fusione con un istituto di «elevato standing»?

E’ il cuore appunto dell’eventuale reato di falso in prospetto, uno di quelli che sono contemplati non dal codice penale ma dall’articolo 173 bis del Tuf, il Testo Unico della Finanza, con pena da uno a cinque anni. In sostanza, quello che i Pm del pool che indaga sul caso Etruria, capitanati dal procuratore Roberto Rossi, dovevano accertare è se la banca, nell’inviare a Consob la richiesta di autorizzazione all’emissione e al collocamento delle subordinate avesse fornito tutte le informazioni necessarie perchè il pubblico dei risparmiatori sapesse cosa sarebbe andato a sottoscrivere con i propri soldi.

L’impressione ad adesso è che il quadro descritto da Bpel con la propria documentazione non fosse completo e che comunque non fosse idoneo a consentire ai sottoscrittori di farsi un’idea chiara sulle subordinate in vendita nel doppio collocamento.

PERCHÈ a primavera 2013, già c’era stata la prima lettera di richiamo del governatore Visco (luglio 2012, «Dovete ricapitalizzare, altrimenti sarà necessaria una fusione») e i fondamentali della banca, a cominciare dai crediti deteriorati, stavano pericolosamente scivolando verso il peggio. Il reato di falso in prospetto, dunque, potrebbe starci, anche se i Pm non hanno ancora preso una decisione su quello che è diventato un altro fascicolo autonomo di un groviglio di inchieste, processi, udienze preliminati nel quale riescono a districarsi solo i più esperti.

Ma se reato c’è, chi eventualmente lo ha commesso? L’emissione dei prestiti obbligazionari era teoricamente competenza del Cda dell’epoca, che vedeva alla presidenza Giuseppe Fornasari. Ma il consiglio, in aprile, ne delegò la redazione per la Consob, al dg Luca Bronchi. Da quel momento, i membri semplici del Cda perdono contatto col dossier, che viene gestito direttamente dai vertici tecnici e amministrativi di Etruria. E’ qui, dunque, che potrebbe andare a colpire la scure dei Pm con una richiesta di rinvio a giudizio che pare più che possibile.

VOLA INVECE verso l’archivazione il cosiddetto fascicolo «madre» dell’inchiesta, quello aperto nel febbraio 2016 con le accuse di bancarotta semplice e fraudolenta e dal quale progressivamente sono stati stralciati i filoni finiti davanti ai giudici. Dentro a questo punto c’è rimasta l’accusa di bancarotta per la liquidazione Bronchi, a carico dei membri dell’ultimo Cda, ad eccezione del presidente Rosi, finito a processo insieme al Dg. Secondo il Gip Anna Maria Lo Prete, i consiglieri semplici non ebbero la possibilità di valutare la distrazione economica della buonuscita. Il tempo per indagare scade a fine settembre, ma è probabile che i Pm accolgano la linea Lo Prete. Per il Cda, compreso il suo membro politicamente più illustre, Pierluigi Boschi, padre dell’ex ministro Maria Elena, sarebbe la fine di un incubo.