Archivio, la Procura verso la superperizia. Denuncia: nessuno sapeva che il gas era letale

Sarà un esame tecnico a valutare il funzionamento dell'impianto. Le vittime non sapevano cosa li aspettava: nessuno, confermano tutti, avrebbe mai detto che il gas poteva diventava mortale

GAS_33752901_095256

GAS_33752901_095256

Arezzo, 25 settembre 2018 - Sarà una superperizia a sbrogliare i nodi, ancora intricatissimi, della tragedia all’archivio di stato, dei due morti asfissiati dal gas Argon del sistema anti-incendio. E’ la novità che emerge nel giorno in cui trapelano gli ultimi nomi nella lista degli indagati, anticipata domenica da La Nazione, e in cui si svolge l’autopsia che conferma (ma non c’erano molti dubbi) come Piero Bruni, 59 anni, e Filippo Bagni, 55, siano crollati senza vita per aver respirato una miscela priva d’ossigeno e satura di gas letale.

Loro, però, non lo sapevano del destino al quale andavano incontro scendendo le scale e aprendo la porta dei bugigattolo con le bombole dell’Argon. Lo dicono i colleghi, lo conferma un anonimo funzionario dell’ufficio: «Non lo sa nessuno in tutta Italia». Pare che la questione della pericolosità dell’Argon, la sua natura assassina in certe concentrazioni, non sia mai stata affrontata nei corsi di formazione che pure si svolgevano regolarmente.

C’era un’informazione, anche dettagliata, su come funzionava l’allarme anti-incendio, c’era la ripetizione costante della direttiva di sicurezza, secondo cui, in caso di fuoco tutti dovevano concentrarsi in un punto di ritrovo e poi uscire ordinatamente, aspettando l’intervento della ditta di manutenzione, la Remas, e dei vigili del fuoco. C’era anche una spiegazione sommaria sul modo in cui agiva l’Argon, cadendo dall’alto verso il basso e bruciando l’ossigeno, alimento del fuoco, ma nessuno avrebbe mai detto che il gas in certe concentrazioni diventava mortale

Pare poi che il piano di sicurezza non contemplasse lo scenario del falso allarme o presunto tale. Per cui, quando è scattato l’antiincendio ci si è mossi un po’ all’impronta piuttosto che seguire regole codificate. E’ potuto succedere così che Piero e Filippo siano scesi giù, probabilmente senza intuire il rischio di respirare una miscela mortale.

Ma perchè l’allarme è scattato nonostante fosse prevista la conferma di un secondo sensore, quindi con un sistema di sicurezza rafforzato? Perchè il gas invece di incanalarsi nei tubi verso i piani superiori si è sprigionato nello scantinato delle bombole? Perchè insomma si è verificato quello che a tutti gli effetti sembra un doppio malfunzionamento? Sarà questo appunto l’oggetto della superperizia che il Pm Laura Taddei sarebbe intenzionato ad affidare ad esperti di comprovata esperienza, come lasciano trapelare fonti giudiziarie.

C’è stato un difetto di progettazione, costruzione o manutenzione? Le bombole avevano una perdita o uno dei tubi si era intasato rimandando indietro il gas verso il bugigattolo della morte? Sono tutte domande cui solo i tecnici possono rispondere. Intanto, si completa l’elenco degli avvisi di garanzia. Insieme al direttore Claudio Saviotti («Non dico niente, solo che mi girano i corbelli non per me ma per due che sono morti e forse sarebbero vivi se fossero stati dei lavativi»), difeso da Roberto e Simone De Fraja, e al titolare della ditta di manutenzione, Maurizio Morelli (avvocato Monica Tucci), ci sono il geometra Gianfranco Conti, assistiito da Tiberio Baroni, cui la Remas di Morelli si era affidata per una consulenza regolarmente fatturata, e due tecnici della Igeam di Roma, società di fama nel campo della protezione ambientale, cui il ministero si è affidato per la formazione: sono Monica Scirpa, e Alessio Vannaroni.