Archivio, inchiesta rompicapo: valvola, sfiatatoio, cattiva formazione? Caccia alle cause

Attesa per l'esito della superperizia: Il deposito previsto entro ottobre, al momento solo indiscrezioni sulle conclusioni dei tre consulenti

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Arezzo, 20 settembre 2019 - Uno degli avvocati difensori usa una metafora: è come se di un’auto sapessimo che è logora, che aveva le gomme lisce e il motore invecchiato, senza sapere però perchè è finita fuori strada. Ecco, un anno dopo,l’indagine sulle due vittime della tragedia all’archivio di stato è più o meno a questo punto. Salvo le novità che potrà portare da qui a un mese il deposito della superperizia affidata a tre consulenti di vaglia, sulla quale trapelano alcune indiscrezioni ma non le conclusioni, cui i tecnici stanno mettendo mano proprio in questi giorni.

E allora si può dire fin da ora che l’impianto anti-incendio di Palazzo Camaiani-Albergotti era un ferro vecchio, nel quale erano più i difetti che le cose che funzionavano. Si puàò dire anche che la formazione di sicurezza dei dipendenti era all’acqua di rosse, che come dicono loro, compreso il direttore Claudio Saviotti, fra i primi a essere indagati in un plotoncini in cui adesso i destinatari dell’avviso di garanzia sono arrivati a una quindicina, non sapevano neppure che l’Argon era un gas letale, inodore e insapore ma fatale a chi lo avesse respirato.

Come fecero la mattina del 20 settembre 2018 Piero Bagni e Filippo Bruni, i primi a scendere nel bugigattolo in cui erano conservate le bombole, che si erano attivate all’ennesimo allarme a vuoto. Ecco, perché l’allarme è scattato a ripetizione per mesi, prima e dopo il giorno più tragico dell’archivio? Mistero ancora insoluto. Perchè solo quella mattina innescò il rilascio del gas, ma non nelle stanze delle carte, protette dall’impianto, bensì nello sgabuzzino dell’interrato? Idem.

Stando a quanto trapela dalla perizia in corso, c’era almeno una valvola che era montata in modo non ortodosso. Ma non c’è alcuna certezza che sia all’origine dell’impazzimento del sistema di sicurezza, anzi secondo alcuni dei consulenti di parte andava bene anche così. C’è poi la questione dello sfiatatoio che avrebbe dovuto far uscire l’Argon all’aria aperta, dove si sarebbe disperso senza far danni, e non nei locali interni, compreso il bugigattolo.

Dipenderebbe da una discrasia fra il progetto originario e la sua realizzazione concreta. Secondo altre indiscrezioni, tuttavia, il difetto riguarderebbe un’altra sezione dell’impianto, non quella coinvolta nella fuga di gas. Sì, perchè il sistema era segmentato in quattro parti, compresa quella coinvolta nell’incidente. Oguna con le sue bombole di alimentazione, ognuna coi suoi sensori.

E la realizzazione si è protratta nel corso del tempo, senza che nessuno avesse mai una visione completa dell’intero impianto ma solo del pezzo di cui si stava occupando. Il tutto rendeva particolarmente farraginosi i controlli di sicurezza, compresa l’ultima revisione che risaliva ad appena tre mesi prima, nel giugno 2018.

Chi ha sbagliato allora? Chi ha progettato tutto? Chi ha messo in opera il progetto? Chi doveva periodicamente revisionare il sistema? Chi ha dato gli ok di sicurezza? Chi ha formato il personale senza i necessari approfondimenti? A un anno di distanza i morti dell’archivio di stato restano senza giustizia, col Pm Laura Taddei cui rimane fra le mani una gran brutta gatta da pelare.