Alpinista morto, le ore prima della tragedia: poi il volo di centinaia di metri

Prima la salita tranquilla, poi l'impennata secca su un tratto attrezzato con una corda di canapa. Infine la richiesta di aiuto dell'amico al soccorso alpino di Cervinia e l'elicottero

Matteo Pes

Matteo Pes

Arezzo, 20 agosto 2018 - Il nome di Matteo si va ad unire a quelli di Stella, Carlos, Adama: e ancora a tutti quei giovani che la morte non l’hanno incrociata in un baratro dell’autostrada, in un torrente o in cima ad una montagna, ma più semplicemente sulle strade dell’estate. L’estate presenta un conto salatissimo: e si porta via un giovane di 28 anni, dal fisico allenato e asciutto.

Lui, Matteo Pes: a tradirlo è la sua montagna. Quella alla quale si preparava tutto l’anno, non solo fisicamente: lunghi progetti, in gran parte condivisi con il compagno di mille avventure, Francesco Sardelli. E il destino ha voluto che l’uno si ritrovasse ad essere testimone della morte dell’altro. La tragedia ieri mattina, all’assalto del Cervino. Partono da un rifugio tranquillo, il Duca degli Abruzzi.

Il percorso per arrivarci è una semplice escursione, anche se di circa 800 metri di dislivello, ma di quelle che Matteo e Francesco facevano agilmente, solo per avvicinarsi alla loro meta. «Si va a ninna che domani tocca fare una bella faticata»: è la frase che Francesco posta la sera prima, a poche ore dalla partenza per la tappa dalla quale Matteo non sarebbe tornato. Una partenza di buon’ora, come tutti gli alpinisti che si rispettano.

Partono da quota 2802 metri, puntando la Capanna Antoine Carrel, uno snodo che tutti gli alpinisti conoscono, sotto la vetta del Cervino. Risalgono all’inizio con la stessa agilità del giorno prima, pendii, qualche cengia: fino alla Croce Carrel, poco sotto quota tremila. Ma il più è ancora da fare, anche se nè il tempo nè il ritmo della camminata sembrano far presagire quello che stava per succedere.

Dopo la croce sfiorano uno di quei nevai che resistono perfino ad agosto: superano grazie ad un canale roccioso un primo punto critico, un salto di roccia. Attraversano fasce detritiche, fino al Colle del Leone. Un passaggio complicato, non per le sue difficoltà intrinseche ma perché esposto alla caduta di roccia.

l peggio viene dopo, l’arrampicata: specie nell’imbuto della Cheminée. E lì ecco la tragedia al varco. Ti devi arrampicare legato a funi di canapa, la salita è attrezzata ma ripidissima. Francesco sale veloce e bene, arriva al livello dove l’erta spiana. Matteo resta alle spalle. Francesco si volta, gli parla, lui risponde: sono le sue ultime parole, subito dopo la caduta. Un incubo, un volo di trecento metri in base a quanto stimato dalla Finanza di Breuil.

Sul lato svizzero. Francesco corre oppresso dall’angoscia e dalla fatica al Carrel, dà l’allarme. Lo riprendono l’elicottero da Breuil gli uomini del soccorso alpino e lo portano a Cervinia, in Italia. Il corpo di Matteo deve essere recuperato dal lato svizzero. La notizia rimbalza ad Arezzo. I genitori, lui per anni come guardia carceraria uno dei punti di riferimento del San Benedetto, si mettono in macchina per attraversare l’Italia, con il magone che ti monta dentro.

Fino a Zermatt, per riconoscere il figlio e riportarselo a casa. Gli amici, il fratello Michele, la fidanzata Carlotta restano qui. Ognuno spera che non sia vero, ognuno convive con un brivido che ormai è impossibile scacciare. Gestore per anni di un bar in via Oberdan, lavorava in un bed and breakfast ma anche collaborava con l’Università di Firenze, dove studiava storia.

Calciatore, promosso in seconda categoria con il San Marco, tifoso dell’Arezzo, l’interesse della politica come militante di Casapound. Una vita affrontata di petto: proprio come quel canalone, che lo ha tradito ad un metro dal traguardo.