Addio a Giuseppina Porri, ha raccontato Arezzo sotto i fascisti al Premio Pieve

Il suo diario finalista nel 2017 è diventato il libro "Il conto del pane". Il padre aveva il forno sotto la Pieve, perseguitato dai fascisti fino alla morte. L'Arezzo anni Trenta

Giuseppina Porri

Giuseppina Porri

Arezzo 24 gennaio 2021 - Se n’è andata Giuseppina Porri, con discrezione. Si è spenta nella casa di riposo Santa Maria in Gradi di Arezzo dove viveva da tempo con l’eleganza e la sobrietà di una maestra di altri tempi che quel mestiere non lo ha mai abbandonato, lo si sentiva quando parlava con gli altri con il suo italiano perfetto. Ma ha lasciato una testimonianza toccante e profonda di lei bambina nel forno del padre nella sua bottega sotto la Pieve in Corso Italia ad Arezzo. Padre perseguitato dai fascisti e che morirà presto, troppo presto vittima di quelle persecuzioni. La sua storia è diventata un diario arrivato in finale al Premio Pieve dell’Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano nel 2017 e poi il libro “Il conto del pane”. A lei dedichiamo questa lunga intervista fatta in occasione dell’uscita del libro che presentò nel dicembre del 2017 al teatro Bicchieraia in uno splendido giorno della memoria.

di SILVIA BARDI

Arezzo 18 dicembre 2017 - IN CORSO ITALIA numero 13 c’era un forno. E c’è ancora. Ma negli anni Trenta, prima della guerra, quello è il forno di Angiolo Porri e la bella torre che gli sta davanti, all’angolo tra Corso Italia e via Bicchieraia, è la sua casa. Un forno bottega dove si compra il pane ma ci si ferma anche a fare due chiacchiere, a bere un bicchiere di vino, a fare merenda. E’ così la vita nel centro storico di Arezzo, ci si conosce tutti, e una piccola via può racchiudere un mondo. Così lo ricorda Giuseppina Porri, figlia di Angiolo, nel suo libro appena uscito «Il conto del pane», finalista al Premio Pieve 2017, quel mondo fatto di personaggi semplici, lo spazzino, l’accalappiacani, l’impiegato, l’idraulico, il sacerdote, personaggi come l’Indiano, il sor Bacci, il sor Carlo (che poi fonderà la pasticceria Bruschi), il Viti, commercianti come il Bindi, la Buratta che vende le mele cotte, le scuole come l’Aliotti. il Convitto o le Magistrali. Borghi come Santa Croce dove Giuseppina porta il pane tutte le mattine prima di andare a scuola, il nuovissimo monumento al Petrarca, la Banca Mutua Popolare Aretina.

Punti di riferimento per una ragazzina che al massimo arriva al Prato o al negozio di frutta della Mariani in fondo al Corso e che vede il fratello giocare «a palline» in Piazza Grande. Un affresco di Arezzo degli anni Trenta dove c’è spazio anche per la Casa del Fascio con la sua torre littoria in via dei Pileati, oggi Archivio di Stato. Già, siamo in piena epoca fascista e Angiolo Porri che esprime sempre liberamente le sue opinioni e che quando tutti alzano il braccio nel saluto romano lui le braccia le tiene incrociate sull’uscio della sua bottega, pagherà con la vita il suo ideale di libertà. 

TUTTO INIZIA nel 1935 quando Angiolo va a riscuotere il conto del pane di fine mese da un noto fascista, D.T. in Federazione. Giuseppina lo vede tornare con la maglia stracciata, il volto tumefatto e insanguinato. E una condanna stampata in faccia: sovversivo. Quel giorno inizia la rovina della famiglia Porri. Il fornaio viene controllato così come la sua clientela e ogni sabato una macchina scura lo porta in carcere a San Benedetto. Una persecuzione. La gente smette di frequentare il forno, gli affari calano, la famiglia fa fatica a tirare avanti e Angiolo si spegne piano piano, il cuore sfiancato dal dolore e dalla preoccupazione, fino alla morte nel maggio del 1940 alla vigilia della guerra. La sua storia la racconta la figlia Giuseppina, una vita da maestra «nel circolo di Aldo Ducci», che dopo settant’anni decide di rendere onore a quel padre tanto amato e di ricordarlo, spinta a farlo tanto tempo prima dal calzolaio di via San Giovanni Decollato. 

«ERO ANDATA da lui per un tacco rotto – racconta – mi conosceva, era stato in prigione con mio padre, accusò noi figli di averlo dimenticato e di non aver fatto niente per lui mentre altri avevano avuto onori e riconoscimenti. Aveva ragione». E così Giuseppina le sue memorie le scrive quando va in pensione, le manda all’Archivio dei diari, va in finale al Premio Pieve 2017.

«Ho pianto tanto per scriverlo e ho ricordato Arezzo come era, gli voglio proprio bene alla mia città». Giuseppina è ospite alla casa per anziani di S.Maria in Gradi e ama tanto ricordare: «Ho imparato a leggere perché mia nonna voleva che le leggessi La Nazione dove veniva pubblicato il romanzo di appendice ’Il diavolo nella cupola’ di Yambo (pseudonimo di Enrico Novelli ndr) la storia di Benvenuto Cellini prigioniero per volontà dei Medici. Per accontentarla ho imparato a leggere il giornale, non avevo ancora sei anni». 

MA LA SUA STORIA è anche quella di una bambina che non capisce perché i fascisti ce l’hanno con suo padre, lo perseguitano, lo picchiano: «sentivo questa angoscia, quello che capitava al mio babbo, non capivo cosa volesse dire essere sovversivi, lui così coraggioso, che non temeva niente. Mentre la città sottostava alle regole fasciste, alle adunanze, alle marce, alle manifestazioni, mio padre rivendicava la legittimità di esprimere il suo pensiero. Io glielo dicevo di non dire quelle cose, di stare zitto, di fare come volevano loro perché sennò lo mettevano in prigione. Pensavo alla famiglia, al nostro forno, alla bottega che non funzionava, alla gente che non veniva da noi perché era pericoloso. Ero annientata, mi nascondevo, mi vergognavo». 

I soldi non ci sono ma Giuseppina ama studiare, è bravissima a scuola, fa le Magistrali e non potendo comprare i libri se li fa prestare in cambio delle traduzioni di latino o di lettere che un’amica le fa scrivere al suo fidanzatino, il conte veneziano Giovanni Volpi di Misurata ospite del Convitto Nazionale». Ma ogni sabato l’angoscia si ripresenta con quel furgone che porta via il padre, un uomo che il lunedì torna «triste e sporco». Il libro finisce con la morte di Angiolo, che non verrà lasciato in pace nemmeno durante il funerale: «Quell’uomo che lo controllava tutti i giorni era lì, fuori della Pieve a vedere chi c’era a seguire il feretro del sovversivo». E quel conto del pane il signor D.T. non lo ha mai pagato.