Accusato di tentato omicidio, la difesa contrattacca: "Il fucile non c'era"

Pomeriggio di follia a Sansepolcro, il legale deposita le proprie indagini, la procura non molla. E’ battaglia. Chiesto rito abbreviato: si va in aula il 3 dicembre

Enrico Guidi con i suoi cani

Enrico Guidi con i suoi cani

Arezzo, 22 novembre 2019 - E’ stato comunque un pomeriggio di ordinaria follia, col ciuffo di case di Montagna e Basilica, due frazioni collinari di Sansepolcro, tenute sotto assedio dai carabinieri, messi in allarme dallo stesso protagonista e dalla sua telefonata: «Oggi ammazzo tutti». Ma c’è mai stato il fucile col quale Enrico Guidi, 44 anni, avrebbe sparato ubriaco contro i due fratelli che erano arrivati sotto casa, scambiandoli per carabinieri? E c’è mai stato dunque quello che viene contestato come un tentato omicidio con tanto di sequestro di persona?

E’ il dubbio che l’avvocato Tiberio Baroni, difensore di Guidi e del babbo Ferruccio, accusato di non aver custodito a dovere l’arma, insinua con le sue indagini difensive, depositate ieri, nell’udienza in cui è stata formalizzata la richiesta di rito abbreviato che verrà discussa il 3 dicembre. Il Gip Fabio Lombardo le ha ammesse e ha disposto che siano inserite nel fascicolo processuale.

Toccherà a lui decidere se la versione giusta è quella dei due fratelli, fatta propria anche dalla procura, oppure se coglie nel segno Baroni che rovescia il tavolo, pardon: ribalta lo scenario. Che succede, dunque, nel primo pomeriggio del 29 maggio? Comincia tutto, appunto, con la telefonata di Guidi ai carabinieri: oggi ammazzo tutti. Che la difesa corregge in «oggi li ammazzo tutti».

Non riferita dunque ai carabinieri, contro i quali il cecchino mancato avrebbe avuto un rancore perchè gli avevano ritirato la patente, ma ai fratelli che hanno poi raccontato di essere stati i bersagli dei suoi spari, due colpi, uno dei quali ad altezza d’uomo. Ma perchè mai il quarantenne doveva avercela con quelli che apparentemente erano amici?

La risposta di Baroni e delle sue indagini, basate sul racconto non solo del protagonista, ma anche del padre, della madre e della sorella, tutti in casa in quei momenti drammatici, è che c’era una ruggine vecchia di una settimana, legata a un cane. Babbo Ferruccio, infatti, gestisce un allevamento di segugi di razza, animali pregiatissimi, tanto che Gianni Zonin, ex presidente di Banca Vicenza, ne avrebbe comprato uno per 15 mila euro.

I fratelli ne avrebbero voluto uno per loro, ma senza riuscire a convincere Ferruccio. Di qui il tentativo di forzare la mano, portandosi via il segugio. Ecco che, secondo la versione difensiva, compare sulla scena Enrico, il presunto fuciliere. Ma tra le mani non ha il fucile Franchi della ricostruzione d’accusa bensì una semplice motosega, che accende minacciando i fratelli quando la lite fra il padre e i fratelli si fa più accesa.

Tutto qui, senza armi e quindi senza spari, col risultato che sparirebbero il tentato omicidio e anche l’omessa custodia d’armi. Il fucile che non si è mai trovato, ipotizzando che Enrico Guidi l’abbia fatto sparire prima di arrendersi a un maresciallo dei carabinieri, semplicemente non sarebbe mai esistito. Di tutto il capo di imputazione della procura non resterebbe quasi niente, al massimo un eccesso di legittima difesa.

Non a caso, si fa notare, i bossoli ritrovati per terra, calibro 12, non corrispondono al fucile Franchi, che invece è un calibro 20. Sembra quasi un gioco di prestigio alla Mago Silvan: un episodio che a maggio fece clamore esce dal cilindro sotto una luce completamente diversa. La procura, tuttavia, pare poco propensa alle magie e per ora va avanti con l’originaria contestazione. Guidi, ubriaco e roso dal rancore verso chi gli ha tolto la patente, che chiama i carabinieri e minaccia la strage. Poi si mette alla posta, da quel cacciatore che è, attendendo che i militari dell’Arma gli arrivino a casa per impallinarli come fagiani.

Prima, però, giungono i due fratelli, che entrano nel mirino degli spari. A questo punto, nell’altra versione di questo Rashomon di provincia, entrambi vengono costretti a salire in casa sotto la minaccia del Franchi. E quando sono dentro, il quarantenne li riceve con fucile fra le braccia: «Io il mio bambino non lo lascio mai». Resteranno nell’abitazione, dicono loro, per un’oretta, con l’arma puntata allo stomaco, nonostante uno dei due soffra di una grave irritazione cutanea che lo tiene sotto il rischio di uno choc anafilattico.

Riusciranno a fuggire solo quando Guidi si distrae un attimo per andare al bagno, inciampa sulle scale e gli scappa un altro colpo. Ma perchè, domanda allora la difesa, non sono andati all’ospedale di Sansepolcro, che è a un tiro di schioppo e sono invece tornati a casa, nella non vicinissima Caprese? E perchè, al contrario, Guidi e i familiari non avrebbero raccontato tutto subito, col quarantenne che è ancora in carcere a distanza di sei mesi? Ci vorrà la parola del giudice per capirci qualcosa in più. Il processo, sia pure nella camera di consiglio di un Gip, si annuncia ricco di colpi di scena.