Arezzo, 28 febbraio 2014 - A CHE SERVE FARE la Madre Coraggio, alla Brecht, se poi ti costa il rischio di perdere i figli? A cosa serve denunciare lo stupro del marito-padrone nei confronti della figlia maggiore, se poi il risultato è che la ragazzina come i fratelli rischia di finire nella lista dei minori adottabili? Domande amare ma inevitabili dinanzi a un caso giudiziario (prima ancora umano, però) che ha il potere di scuotere le coscienze. Di suscitare non solo l’orrore nei confronti di un padre-padrone che aveva ridotto la sua bambina a schiava sessuale e la moglie a serva materiale, ma anche nei riguardi di una giustizia che davvero talvolta ha le sembianze di una dea bendata.

Ripartiamo daccapo. Da una storia che i lettori de La Nazione già conoscono perchè fu questo giornale a raccontarla in esclusiva nell’autunno del 2011: l’arresto per violenza sessuale di un rumeno di 48 anni, tale Gelu B., residente in Casentino (e se taciamo la località come il cognome non è per rispetto nei suoi confronti che non ne merita alcuno, ma per non rendere identificabili le sue vittime). Dietro c’è una persecuzione sessuale che il padre comincia nei confronti della figlia quando lei ha soltanto 7 anni, nel 2004. Nel frattempo nascono altri due bambini, nel 2005 e nel 2008, ma il rumeno non smette mai di usare la piccola come una bambola per sfogare i suoi peggiori istinti. E non sono solo molestie ma molto peggio, anche se è il caso di sorvolare sui particolari.

ALLA FINE LA RAGAZZINA si sfoga a scuola, la madre Bruna (pure lei rumena) riceve le confidenze del fratellino, che ha visto qualcosa, affronta la figlia e ne ottiene un racconto completo delle sevizie subite. Siamo a marzo 2011, la signora si rivolge subito agli assistenti sociali e ottiene che i figli vengono allontanati da casa per evitare ulteriori violenze, in contemporanea presenta anche denuncia contro il marito-padrone, innescando un procedimento penale che si concluderà con la condanna di Gelu a dieci anni in primo grado, dinanzi al Gup Anna Maria Lo Prete, e a otto in appello, giudice relatrice l’aretina Lucina Cicerchia. Ancora in corso, invece, un ulteriore procedimento per maltrattamenti sulla moglie, che sarebbe stata persino costretta a partorire in condizioni bestiali.

La solita storia di ordinaria follia in famiglia? No, perchè qui comincia il paradosso. Per difendersi dalle accuse, Gelu B. presenta una controdenuncia, ancora per maltrattamenti ma dei figli, nei confronti di Bruna. Che si vede togliere i bambini dal tribunale dei minori. I ragazzi vengono affidati al Thevenin, dove sono ancora, a distanza di oltre due anni. La denuncia di lui nel frattempo è stata archiviata, ma nella giustizia sdoppiata la mano destra non sa cosa fa la sinistra. E se il tribunale di Arezzo segue la sua linea nella pratica di separazione (riconoscendo alla signora almeno il diritto di vedere i figli due volte la settimana e di sentirli al telefono tutti i giorni), per il tribunale dei minori lei è ancora una madre potenzialmente snaturata. Tanto che qualche mese la procura minorile esce allo scoperto e chiede che si riconosca lo stato di abbandono dei ragazzi, con conseguente loro adottabilità. Quello appunto di cui si discuterà stamani, nell’udienza convocata a Firenze, in cui la mamma è assistita dall’avvocato Stefano Buricchi.

IL BELLO È CHE i figli, in particolare la più grande, si sentono così abbandonati da chiedere insistentemente di tornare a vivere con la madre. Il bello è anche che c’è una sentenza nella quale si riconosce la linearità del comportamento di Madre Coraggio: «Non è in discussione la sollecitudine con la quale ha reagito alle prime rivelazioni della figlia e che l’ha portata ad affrontare l’ira del marito». Il premio è che i figli rischino di finire in adozione?